Raggiunto ieri a Ginevra l’accordo tra Russia e Stati Uniti per frenare la crisi in Ucraina. Ma l’Occidente rimane cauto, temendo che Mosca possa non rispettare quanto stabilito. I dettagli e le prospettive dell’intesa commentate in una conversazione con Formiche.net dall’ambasciatore Guido Lenzi, già direttore dell’Istituto Europeo di Studi di Sicurezza a Parigi e Rappresentante Permanente presso l’Osce a Vienna.
Ambasciatore, cosa prevede l’accordo di Ginevra?
I termini sono quelli noti. L’intesa prevede lo scioglimento dei gruppi armati illegali in tutte le regioni ucraine, la riconsegna degli edifici governativi occupati, lo sgombero di strade e piazze presidiate e una amnistia per tutti i manifestanti, tranne per coloro che hanno commesso gravi reati. Inoltre dovrà essere avviato un dialogo nazionale nel quale siano coinvolti tutti i gruppi e tutte le zone del Paese, e spetterà ai partiti ucraini attivarsi per superare l’attuale crisi.
A vigilare sarà l’Osce di cui lei è rappresentante.
Sì. Ma vorrei ricordare che l’Osce era stata coinvolta anche nel 2008 in Georgia, salvo poi costringerla a chiuderne gli uffici. L’organizzazione non si limiterà comunque a inviare degli osservatori, ma opererà anche attraverso il lavoro di un Alto rappresentante per le minoranze, che valuterà le condizioni dei cittadini russi o di origine russa dell’Ucraina, per rassicurare Mosca.
Crede ci sia davvero un pericolo per i filo-russi?
Non sta a me dirlo. Non posso però non evidenziare che il parallelismo che Putin invoca, quello col Kosovo, è assolutamente fuori luogo. Anche lì ci fu una guerra lunga e logorante, ma nessuno pensava di annettere il Paese. Mosca invece dice di tutelare le minoranze, ma per poi assimilarle. Almeno questo è accaduto con la Crimea.
Perché Mosca ha accettato l’Osce e non la Nato?
L’Osce è un organismo di persuasione e riconciliazione di carattere paneuropeo, comprendente anche Russia, Usa e Canada. Non utilizza forze militari.
Come commenta l’intesa?
È presto per dare giudizi. Ritengo che comunque, pur nei confini dell’accordo, permanga una sostanziale divergenza di vedute tra l’Occidente e Kiev da un lato e la Russia dall’altro. Mosca ritiene che federando l’Ucraina, questa possa poi essere più vulnerabile e assoggettabile, almeno la sua parte orientale, quella che in passato gli è appartenuta. Ma non credo che sia questo il tipo di autonomia che né l’Occidente né il governo ucraino – sia quello provvisorio sia il futuro – immaginano. Gli attriti non sono terminati.
A cosa serve allora?
Serve innanzitutto a stemperare la tensione e a far sì che siano le diplomazie a mettersi al lavoro.
Perché le posizioni dell’Occidente e di Mosca appaiono così distanti?
Il problema è che la Russia ha una crisi d’identità. Continua a vivere di nostalgia per un passato che non esiste più, oltre a soffrire di una sindrome dell’accerchiamento che la contraddistingueva già ai tempi di Stalin.
Si sente minacciata da non si sa bene chi o cosa, pur sedendo in tutti i consessi internazionali che contano. Rammento che subito dopo la dissoluzione dell’Urss, il presidente Boris Eltsin prese l’impegno di stabilizzare tutta la fascia degli Stati intermedi che dividono l’Unione europea dalla Russia per meglio delinearne lo status futuro e favorire pace e prosperità. Ma una volta salito al potere, Vladimir Putin ha abbandonato questi propositi, preferendo lavorare alla creazione di una propria zona d’influenza, l’Unione eurasiatica.
Non crede che la possibilità che Kiev si associasse all’Ue o alla Nato potesse costituire un elemento di frizione tra i due blocchi?
Assolutamente no. Questa vicenda dimostra quanto la Russia viva poco nel presente. Io lo definirei uno stato premoderno e non postmoderno come tutti gli altri, Cina compresa. Oggi i conflitti, tranne rarissimi casi, non si risolvono più con l’uso della violenza. La sua è una prova di debolezza e non di forza. L’Occidente avrebbe tutte le capacità economiche e militari per stroncare le provocazioni belliche di Mosca, ma preferisce usare altre armi, meno rumorose, ma ugualmente efficaci. Le vere sanzioni non sono quelle comminate. Gli effetti dell’atteggiamento russo di vedono già: il rublo crolla, gli investimenti lasciano il Paese, Mosca è isolata. Meglio dialogare che pretendere di intimorire. La Russia avrebbe solo da guadagnarne.
Il prof. Giulio Sapelli, in “Dove va il mondo”, ritiene che l’unico modo di porre fine a questi conflitti sia di lavorare, come suggeriva il generale De Gaulle, a “un’Europa che vada dall’Atlantico agli Urali”. Cosa fare a suo avviso per recuperare la Russia?
Sono d’accordo. L’Europa politica ha bisogno dell’integrazione con la Russia. E dirò di più. Lo sforzo che deve fare l’Occidente è quello di sollecitare la Russia a darsi da fare in Iran, Siria, Israele e Palestina, tutti Paesi che hanno bisogno di lei e della sua influenza negoziale. Se riusciremo a riportarla nei ranghi di partner collaborativo in queste crisi esterne, forse abbandonerà il proposito di riappropriarsi della dignità internazionale che crede perduta in teatri a noi prossimi. Allargare i confini fa sempre bene. Se la Russia diventa un partner, che la Crimea si trovi da questa o dall’altra parte non farà più differenza.