Con un atto atteso da un decennio, Mosca e Pechino hanno siglato oggi un accordo per la fornitura trentennale di gas russo alla Repubblica popolare cinese. Un’intesa vista con preoccupazione tanto da Bruxelles – principale mercato del gas della Federazione russa -, quanto da Washington – alle prese con una guerra all’ultima sanzione con Vladimir Putin, considerato responsabile della crisi ucraina.
Timori esagerati per Matteo Verda, ricercatore dell’Università di Pavia e dell’Ispi (e autore del libro “Una politica a tutto gas”) che invece considera l’accordo come un potenziale elemento di stabilità. Ecco il perché.
Quali sono i dettagli dell’accordo tra Cina e Russia?
Mosca fornirà per trent’anni alla Cina 38 miliardi di metri cubi di gas all’anno. Non è nota la formula di prezzo, che è stata secretata. Ma oggi Gazprom, citata dall’agenzia Ria Novosti, ha parlato di un accordo per oltre 400 miliardi di dollari, che dovrebbe significare un costo di circa 350 dollari ogni mille metri cubi. Un prezzo simile a quello di vendita sul mercato europeo, ma di gran lunga inferiore a quello pagato per il gas naturale liquefatto dai Paesi dell’Asia orientale come Corea del Sud e Giappone. Il prezzo futuro però dipende molto dal tipo di contratto e dalle possibilità di rinegoziazione previste nei trenta anni di durata. Quanto al tracciato, il gasdotto passerà ad est della Mongolia, sbucando direttamente nella Repubblica Popolare. Una scelta che consente di servire direttamente in modo efficace la parte orientale della Cina, il motore commerciale del Paese.
Come mai solo stamane i giornali stranieri davano per fallita l’intesa?
Credo fosse il risultato della tattica negoziale dei cinesi, che plausibilmente hanno tenuto in sospeso fino all’ultimo momento i russi per strappare il miglior accordo possibile.
Quanto ha inciso la crisi ucraina sulla firma di questo accordo?
Dal punto di vista politico è possibile che abbia influito, convincendo Putin a cedere qualcosa. Ma di fatto ha solo accelerato un processo già in atto da circa un decennio. Una conclusione inevitabile dal punto di vista strutturale, perché la domanda di gas è in Cina e l’offerta in Russia.
Cosa cambia per l’Europa?
Assolutamente niente. Anzi, le possibili ripercussioni potrebbero essere più positive che negative. I campi di gas da cui si approvvigionerà la Cina sono in Siberia orientale. Il gas destinato all’Europa si trova invece in quelli in Siberia occidentale. Nessun problema nemmeno dal punto di vista delle linee di credito di Gazprom, che ha previsto 55 miliardi di investimento: anche se non ci sono dichiarazioni ufficiali in merito, è previsto che buona parte del credito provenga da banche cinesi. Infine una diversificazione delle opportunità per la Russia la rende un partner più prospero e dunque più affidabile. Una cosa che è bene augurarci.
Una Russia con maggiore potere negoziale proverà a ritoccare al rialzo il prezzo del gas?
La Russia guadagna maggiormente col petrolio. La scelta di costruire gasdotti è invece più politica. In ogni caso non c’è antagonismo tra il mercato cinese e quello europeo. Quello di Gazprom è un piano di crescita, non di sostituzione. La crisi ucraina è solo un incidente storico che si è frapposto in un percorso già annunciato. E poi non bisogna dimenticare che l’Europa rimane centrale per gli interessi commerciali russi. Anche quando le condotte che portano il gas in Cina saranno a regime, Mosca esporterà verso Pechino un terzo di quanto esporta nel Vecchio Continente. La Cina sta crescendo, ma l’Europa resta per la Federazione russa il primo mercato anche per i prossimi anni.