Lo scontro in atto tra magistrati nel Palazzo di Giustizia di Milano non conosce tregua. E procede con una virulenza mai vista, rischiando di frenare o danneggiare le attività investigative sulla “cupola” che avrebbe pilotato un traffico di tangenti e relazioni illegali per l’attribuzione di un gran numero di appalti di Expo 2015.
Per capire i motivi e lo sbocco del conflitto che coinvolge la Procura del capoluogo lombardo, Formiche.net ha sentito Massimo Bordin, giornalista e voce storica di Radio Radicale soprattutto per la rassegna informativa del mattino “Stampa e Regime”, e noto osservatore della giustizia italiana.
Bordin, gli scandali emersi su Expo 2015 rappresentano un caso di illegalità partitocratica?
La vicenda Expo, come quella Penati e Formigoni-Fondazione Maugeri, rivelano un legame organico tra componenti finanziarie-imprenditoriali e precisi gruppi politici. Mondo delle cooperative e Compagnia delle Opere, anziché farsi la guerra e competere, convivono monopolizzando il mercato tramite una rete di accordi. La gestione di tale equilibrio si riverbera sul rapporto con la magistratura. E su questo punto delicato emergono le contraddizioni connesse al ruolo del procuratore capo.
Quali comportamenti anomali vengono attribuiti a Edmondo Bruti Liberati?
Leggendo le carte dell’esposto presentato da Alfredo Robledo al Consiglio superiore della magistratura, riscontro l’accusa di eccesso di “regia politica” nella gestione dell’ufficio. Attenzione però. Non si parla tanto di faziosità partigiana, assimilabile al registro della “toga rossa”.
Perché?
A Bruti viene attribuito un atteggiamento troppo accomodante nei confronti di Formigoni per le imputazioni di corruzione legate alle presunte tangenti pagate dai vertici dell’ospedale San Raffaele, e verso il presidente della Provincia Guido Podestà riguardo alla falsificazione delle firme connessa alla presentazione del “listino” del Popolo della libertà nel voto regionale del 2010. Ma le critiche toccano allo stesso tempo la scelta di assegnare a Ilda Boccassini la titolarità delle indagini e del processo sul Rubygate. Due comportamenti teoricamente contraddittori se si volesse conferire un’etichetta partitica all’operato del capo dell’ufficio.
Anche Francesco Saverio Borrelli vent’anni fa fu accusato di gestione politica della Procura.
Un’accusa fondata. Ma quella del procuratore di Mani Pulite presentava una forza autonoma rispetto al ceto dirigente. L’attuale direzione politica di Bruti manca di tale solidità. Ed è un segno del declino del “partito dei magistrati”. Mi viene in mente un’altra analogia.
Quale?
Nella “battaglia contro la corruzione” portata avanti dai pm ambrosiani vedo gli stessi problemi emersi alla Procura di Palermo nell’offensiva contro la mafia”, soprattutto con la guida di Gian Carlo Caselli. È la logica inevitabile dell’organizzazione in pool. Ricordo che nel capoluogo siciliano, finché il magistrato torinese rimase alla guida dell’ufficio, tutti i sostituti erano compatti. Appena terminò il mandato esplosero i conflitti.
Per diversi analisti le divergenze tra Bruti e Robledo attengono a visioni investigative antitetiche.
A gennaio scrissi sul Foglio che con la crescente specializzazione delle molteplici forze dell’ordine attive in Italia, ogni pubblico ministero può contare su un corpo di polizia giudiziaria di stretta fiducia.
Nelle beghe scoppiate a Palazzo di Giustizia vi è il riflesso della contrapposizione fra correnti della magistratura in vista del rinnovo del CSM?
Non la ritengo determinante. Se è vero che il gruppo “conservatore” di Magistratura indipendente è molto forte, così come i “progressisti” di Magistratura democratica hanno interrotto da tempo la loro avanzata, Robledo ha spiegato di non essere iscritto a nessuna componente. L’ordine giudiziario in realtà ha sempre agito come un corpo molto coeso. Pensi al procuratore generale della Corte d’Appello di Torino Marcello Maddalena. Una toga certamente non aderente alle correnti di sinistra, e tuttavia simbolo della “scuola torinese” dei magistrati abituata a reagire come un sol uomo a tutti gli interventi assunti dal potere politico in tema di giustizia.
Come si può rompere la fisionomia correntizia dell’universo giudiziario?
Cambiando alla radice il meccanismo di elezione dei membri togati del Consiglio superiore, fonte di legittimazione di una mentalità spartitoria che getta discredito sui magistrati e riproduce la logica partitocratica.
Il conflitto in atto mette in crisi il principio costituzionale dell’obbligatorietà dell’azione penale?
È evidente. Ciò che Piero Calamandrei definì una “svista dei costituenti” rivela tutti i propri limiti. Apparentemente garantisce un assetto giuridico imparziale, ma rappresenta un obiettivo irraggiungibile. La polemica relativa alla dimenticanza dei fascicoli investigativi nei cassetti della Procura riflette una discrezionalità de facto del pm. Se però la messa in dubbio di tale istituto viene evocata, la magistratura si risente immediatamente. Ed è pronta a lottare con le unghie pur di difendere una posizione di forza cui non è disposta a rinunciare.