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Che cosa può fare l’Occidente per pacificare la Libia

Pubblichiamo un estratto dal report “Gli sviluppi dell’instabilità in Libia” realizzato da Gabriele Iacovino per il Centro Studi Internazionali

L’instabilità libica deriva prettamente da fattori interni e non risente da influenze internazionali. In questo senso, ad un’analisi più approfondita, risulta alquanto sui generis che un Paese coma la Libia, la cui stabilità influisce sull’accesso ad ingenti risorse energetiche per mezza Europa, non sia in questo momento al centro di una profonda iniziativa diplomatica da parte dell’Unione Europea.

L’ASSENZA DELL’EUROPA

La mancanza di una incisiva azione europea è figlia sia dell’ormai congenita difficoltà strutturale della PESC sia della crisi economica che affligge i Paesi membri e che limita le capacità in politica estera. Un sostegno alla stabilizzazione della Libia non può che passare da una più visibile presenza europea al fianco delle istituzioni nazionali, non in termini finanziari, in quanto il Paese ha tutte le risorse di cui ha bisogno per il proprio rilancio economico, ma soprattutto in termini di rafforzamento dell’apparato di sicurezza libico, primo e fondamentale passo verso la possibilità di ricostruzione istituzionale. Per fare questo, l’impegno italiano nell’addestramento delle nuove Forze di Sicurezza libiche è il migliore dei primi passi possibili. Ma, in un’ottica di lungo periodo e forti dell’analisi degli avvenimenti libici del post-Gheddafi, si può sostenere che senza una forza di addestramento e stabilizzazione in loco, il processo di ricostruzione istituzionale potrebbe continuare a subire delle notevoli battute d’arresto. Anche in questo caso sembra doveroso fare un rimando ad un più incisivo ruolo delle Nazioni Unite, che pur rallentate dalla propria farraginosità burocratiche, è l’unica organizzazione in grado di poter supportare, sia a livello economico sia a livello politico, una siffatta iniziativa.

L’IMPEGNO DEGLI USA

In quest’ottica si potrebbe immaginare anche un maggior impegno degli Stati Uniti. Infatti, sul dossier libico, l’Amministrazione Obama ha per la prima volta messo in atto la sua dottrina in politica estera nel Mediterraneo. Questa è stata contraddistinta dalla ferma volontà di non voler rimanere invischiati in situazioni di instabilità lontane dai propri focal point strategici. La politica mediterranea, infatti, è stata negli ultimi anni dettata da un’attenzione particolare solo alle prospettive di sicurezza nazionali, con un intervento da “stay behind” anche in operazioni più complesse, come la campagna militare NATO contro il regime di Gheddafi. In questo modo, Washington dà priorità solo a a quelle problematiche che avverte come una minaccia diretta alla propria sicurezza. In quest’ottica, vedasi la messa in sicurezza dei missili spalleggiabili antiaerei fuoriusciti dai depositi gheddafiani o le giacenze dell’arsenale chimico del Colonnello, senza dimenticare mai la lotta al terrorismo, come l’operazione che ha portato alla cattura di al-Libi.

IL RUOLO DELL’ITALIA

Forse proprio questo è l’argomento su cui gli interessi europei, e soprattutto italiani, possono maggiormente incrociarsi con quelli statunitensi. La stabilizzazione della Libia comporterebbe anche la restrizione degli ambiti di manovra del panorama qaedista nel Paese, con degli inevitabili vantaggi per la sicurezza internazionale. Se finora la minaccia qaedista proveniente dal Nord Africa ha avuto un respiro maggiormente regionale, non è da escludere che in futuro, grazie ad un retroterra logistico acquisito come la Libia, il network internazionale di al-Qaeda possa cominciare ad utilizzare le realtà nordafricane per minacciare la sicurezza europea. Non bisogna farsi tirare in inganno dall’impostazione, storicamente molto locale, della maggioranza dei jihadisti libici. In un’ottica di sviluppo della radicalizzazione qaedista soprattutto nei confronti di nuove leve, il peggioramento delle condizioni economiche e sociali in un Paese come la Libia potrebbe diventare un pericoloso volano per porre l’attenzione della propria dialettica terroristica verso l’occidentale Europa.

UN PAESE IN PRIMA LINEA

L’Italia, dunque, si trova in prima linea nella gestione della stabilizzazione della Libia. Non solo perché il Paese è al centro del sistema di approvvigionamento energetico italiano, ma anche, e soprattutto, per la gestione dei traffici illegali, soprattutto di esseri umani, provenienti dalla Libia e per la prevenzione della minaccia terroristica.
La missione di addestramento per le nuove Forze di Sicurezza libiche è un segnale forte di come l’Italia sia al centro degli sforzi della Comunità Internazionale in supporto alle istituzioni libiche. La riflessione è che il nostro Paese, grazie alla propria conoscenza del contesto e alle relazioni sociali, economiche e politiche che storicamente ha costruito con la controparte libica, possa farsi promotore di una iniziativa politica atta a trovare una soluzione verso la stabilizzazione di Tripoli. Un tale impulso troverebbe negli Stati Uniti un’ottima sponda collaborativa in grado di dare maggiori opportunità di superare le indecisioni e, se vogliamo, anche alcuni veti, da parte di partner europei, come Francia e Stati Uniti. In questo modo, si potrebbe approcciare con più forza l’ottica multilaterale.

UN INTERLOCUTORE NECESSARIO

Inoltre, l’Italia, grazie anche alla propria esperienza di gestione dei federalismi e delle autonomie regionali, potrebbe porsi come interlocutore principale non solo di Tripoli, ma anche delle realtà locali come quelle di Misurata e Bengasi, in modo tale da farsi promotore di una mediazione che molto probabilmente dovrà passare da una profonda riflessione su quale dovrebbe essere il futuro assetto istituzionale libico. La caduta del regime di Gheddafi ha dato libero sfogo a tutte quelle istanze autonomiste che per troppo tempo sono state soffocate dalla repressione. La ricchezza della Libia non sta solo nelle proprie risorse naturali, vero volano di una ripresa rapida del Paese, ma anche nelle diversità culturali e sociali al proprio interno. Facendosi promotrice di una soluzione condivisa, l’Italia si proporrebbe un partner credibile in grado si supportare il processo di transizione libico. A beneficiarne sarebbe indubbiamente tutto il nostro Sistema Paese.


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