Volge al termine il terzo giorno di elezioni che incoroneranno presidente d’Egitto il superfavorito Abdel Fattah al Sisi, l’ex capo delle forze armate che ha deposto Mohamed Morsi, e che da allora guida il Paese.
La sua vittoria, però, complice la scarsa affluenza che ha spinto alla scelta inusuale di prolungare le votazioni di un giorno, non è avvenuta nel modo netto che si aspettava, almeno stando ai sondaggi. Ciò renderà ancora più complesse le tante sfide che lo attendono, dalla pacificazione al risanamento economico del Paese.
L’EREDE DI NASSER?
La Sisi-mania – spiega l’Ispi in un’analisi di Gennaro Gervasio, docente di Middle East Politics alla British University del Cairo -, “se da un lato fa pensare ai tempi di Nasser e al suo sostegno popolare, d’altra parte contiene numerosi pericoli. Non solo, infatti, la rappresentazione di un Paese unito dietro al Sisi… è fuorviante. Inoltre, oltre a rispolverare il vecchio culto del leader… la propaganda a favore di al-Sisi ha già generato nella popolazione aspettative irrealistiche su “superpoteri” che permetterebbero al generale di rimettere in sesto la disastrata economia egiziana e ristabilire condizioni minime di sicurezza“.
IL PERICOLO BANCAROTTA
Il rischio di bancarotta, infatti, non è allontanato, come ha rammentato lunedì scorso sulla Stampa Francesca Paci, ma anzi rimane la spada di Damocle sulla testa dell’Egitto. “La vera sfida è l’economia… al Sisi deve aggiustare un Paese con un debito totale pari al 150% del Pil che è stato declassato sei volte in tre anni dalle agenzie di rating: se fallisce la gente dilagherà nelle piazze”. Che prosegue: secondo alcuni esperti c’è bisogno di “rivitalizzare il mercato per attrarre investitori stranieri e l’unica strada passa per misure impopolari come il taglio dei sussidi“.
La ricetta del broker Hani Tawfik – prosegue il quotidiano diretto da Mario Calabresi – è lacrime e sangue: “Un Paese come l’Egitto dovrebbe incassare tasse pari al 30% del Pil, significa 92 miliardi di euro contro i 20 miliardi di euro che invece incassa. Quanto ai sussidi, 40 miliardi di euro l’anno, la soluzione è azzerarli“.
LA RICERCA DELLA STABILITÀ
Non solo. Al Sisi, considerato il nemico numero uno dei Fratelli Musulmani da quando nel 2013 ha imposto la defenestrazione di Morsi e la messa fuorilegge del partito, dovrà lavorare duramente per riunire le tante anime in lotta nel Paese. Durante queste elezioni, racconta l’inviato di Repubblica Alberto Stabile, “su molti ritratti e manifesti di al Sisi sono state scagliate bottiglie di vernice rosso sangue accompagnate da scritte insultanti: C. C. (che sta per Sisi) “assassino”, “Caino”, “killer”, qualche volta anche in inglese“.
L’ALLARME TERRORISMO
Oltre alle recriminazioni dei Fratelli Musulmani e di altri movimenti (come il 6 Settembre), al Sisi dovrà vedersela anche con gruppi di terroristi che dicono di ispirarsi ad Al Qaeda e di voler difendere i valori dell’Islam. Una chiara minaccia al futuro presidente egiziano – racconta AnsaMed – è arrivata dal gruppo militante Ansar Bayt al-Maqdi che sul suo profilo Twitter ha affermato che Sisi “continua a predicare che porterà stabilità, ma invece andrà incontro all’inferno“. Nel suo tweet, il gruppo rivendica inoltre l’uccisione di Mohamed Fathi, attivista del movimento Tamarod, protagonista della “rivoluzione” contro il presidente islamico deposto Morsi.