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Elezioni europee? Non trasparenti

Finalmente domani si vota. Un sollievo, visto che per qualche ora potremo disintossicarci dai veleni della ennesima campagna elettorale vuota di contenuti, zeppa di slogan e fatta quasi esclusivamente di attacchi personali. Saranno le elezioni a più alto potenziale numerico di votanti subito dopo l’India (tenuto conto anche degli astensionisti, che avranno comunque compiuto una scelta). Non solo: per la prima volta i membri del nuovo Parlamento europeo dovranno decidere, votando, chi è il prossimo Presidente della Commissione.

Tutto bene, tutto bello, si fa per dire. Come siamo messi a trasparenza delle donazioni elettorali per le elezioni europee? Non tanto bene. Come ha notato recentemente anche la Sunlight Foundation, il fatto che non esistano regole comuni fa si che ciascuno Stato membro gestisca i finanziamenti con regole proprie. Il che rende praticamente impossibile qualsiasi tentativo di comparazione dei dati. Il classico caso disperato del confronto tra mele, pere, mandarini e banane.

E le differenze tra gli Stati sono tutt’altro che irrilevanti. In Polonia e Lithuania, per dirne una, i candidati al Parlamento europeo possono iniziare a fare campagna elettorale molto presto, praticamente il giorno dopo che la data delle elezioni viene ufficializzata. Quelli rumeni invece sono obbligati a fare propaganda entro i 30 giorni che precedono l’elezione. Immaginate quanta differenza nella mole e (soprattutto) nella gestione dei fondi.

In Croazia i candidati e i partiti hanno l’obbligo della totale trasparenza, sia per le donazioni in danaro che per quelle di altro tipo (un immobile, per fare un esempio). In Austria il limite a partire dal quale c’è l’obbligo di disclosure è 3500 euro su base annua. Non è tanto, ma c’è sempre l’escamotage delle micro-donazioni ripetute nel tempo. A Cipro e Malta non esiste alcun obbligo di trasparenza. Se vogliono i partiti dichiarano le donazioni. Se non vogliono (e, ovviamente, non vogliono quasi mai) non le dichiarano. In Belgio, Germania e Italia, a differenza di altri Stati membri, sono ammesse anche le donazioni dall’estero.

Poi ci sono i 13 eurogruppi parlamentari europei. A loro si chiede di pubblicare le informazioni relative ai finanziamenti su base annua, il che, tradotto, significa in forma aggregata (per cui è spesso difficile distinguere le diverse voci che giustificano le donazioni). Ed è solo recentemente che si sono messi d’accordo su cosa debba intendersi per “donazione elettorale” (Qui il documento del  Comitato affari costituzionali del Parlamento UE).

Insomma, siamo lontani dallo stato ottimale. Le poche conquiste fatte sul fronte della trasparenza, da sole, non bastano. Tra queste ci sono le informazioni in formato aperto sulle elezioni (QUI) e un nuovo set di regole, che però entrerà in vigore solo nel 2017 (QUI), in tempo per le prossime elezioni.

In mancanza di altri passi avanti più consistenti non possiamo che affidarci alla cara, vecchia, società civile. Per esempio a Kohovolit, sito che permette di tracciare le votazioni dei singoli deputati, per capire se e quanto sono rispettosi delle promesse fatte in campagna e se (e quanto) dipendono da altri interessi. Oppure c’è l’eccellente lavoro di Transparency International, che continua a pubblicare dati su corruzione e integrità dei membri dell’Europarlamento (QUI).


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