Dopo Luigi Lucchini e Steno Marcegaglia è scomparso un altro “grande vecchio” della siderurgia italiana, l’Ingegner Emilio Riva, che è stato alla guida del primo gruppo per dimensioni del settore operante in Italia e fra i maggiori in Europa.
Ma esso – con la molteplicità dei suoi siti produttivi e gli oltre 25.000 addetti che vi sono tuttora occupati – non era stato un’eredità di famiglia o il risultato di una scalata di borsa per colui che poi ne aveva assunto le redini, reggendole per decenni con mano salda e felici intuizioni imprenditoriali.
IL GRUPPO RIVA
Il gruppo era stato costruito sin dal lontano 1954 con successive acquisizioni, dapprima in Italia e poi all’estero, culminate il 28 aprile del 1995 nell’acquisto dall’Iri, che ne aveva avviato la privatizzazione, dell’Ilva, la più imponente delle sue vecchie controllate che gli portò in dote fra gli altri il gigantesco stabilimento di Taranto. Emilio Riva, pertanto, è stato e si è sempre considerato con malcelato orgoglio un self made man, una delle figure imprenditoriali formatesi, anche sotto il profilo caratteriale, negli anni febbrili della ricostruzione del dopoguerra, quando l’Italia era stata ricostruita, pur con tutti i suoi squilibri, sotto la spinta di tanti uomini ‘del fare’.
LA VITA
Emilio Riva era nato a Milano nel 1926 da famiglia di antiche origini milanesi. Poco più che adolescente, durante gli anni della ricostruzione, aveva iniziato a lavorare presso aziende operanti nel campo del commercio di prodotti siderurgici e di rottame che garantivano la materia prima alle imprese elettrosiderurgiche padane e prealpine.
I PRIMI PASSI
Nel 1954 intraprese insieme al più giovane fratello Adriano un’attività di lavorazione e commercio di rottami ferrosi, costituendo la Riva & C. società in accomandita semplice, che può essere considerata la capostipite di quello che poi sarebbe divenuto il Gruppo Riva. Ma già nel 1957 il ragionier Emilio (la laurea in ingegneria sarebbe arrivata honoris causa molto anni più tardi) ritenne giunto il momento di cimentarsi direttamente nella produzione di acciaio al forno elettrico per rifornire i rilaminatori bresciani; e così il 7 marzo dello stesso anno il primo forno delle Acciaierie Ferriere Riva avviò le sue colate a Caronno Pertusella nella cintura industriale milanese, producendo acciaio in lingotti pronto per successive lavorazioni a valle.
IL PERCORSO IMPRENDITORIALE
Iniziò così un lungo percorso imprenditoriale di produttore di acciaio che lo avrebbe portato nei decenni successivi, passo dopo passo, a rafforzare la sua presenza nell’Italia del Nord – acquisendovi alcuni impianti in Piemonte e nel Bresciano – e poi, a partire dal 1965, ad affacciarsi anche all’estero, partecipando al rilancio di una acciaieria a Siviglia in Spagna. Successivamente – riuscendo a superare spesso brillantemente difficili fasi congiunturali nelle dinamiche nazionali del comparto, e allargando la sua presenza nel nostro Paese – nel 1985 entrò nel Cogea-Consorzio Genovese Acciaio che aveva assunto in gestione lo storico altoforno di Cornigliano, ricostruito alla fine degli anni ’40 nell’ambito del grande piano di rilancio della siderurgia pubblica, voluto da Oscar Sinigaglia.
LA PRIVATIZZAZIONE DELLE SIDERURGIA IN ITALIA
Dopo aver partecipato, all’indomani della caduta del Muro di Berlino, anche alla privatizzazione della siderurgia di Stato della Germania dell’Est, acquistandovi e tuttora conservando impianti nel suo territorio, Riva volle partecipare ai processi di privatizzazione della siderurgia italiana avviati nel 1993 e conclusi due anni più tardi con l’acquisto e l’avvio gestionale dell’Ilva e soprattutto del grande stabilimento di Taranto, la cui prima pietra era stata posata il 9 luglio del 1960 e che fra il 1964 e il 1975 era stato portato all’attuale dimensione produttiva.
E’ iniziata così la fase sicuramente più complessa e discussa nell’esperienza imprenditoriale di Emilio Riva che non aveva mai gestito impianti di quella imponenza, peraltro assunti in esercizio dal 1° maggio del 1995 non solo in una situazione di forte degrado delle relazioni industriali, ma anche bisognosi di un forte rilancio produttivo, pena una drammatica caduta nell’economicità della loro gestione.
I RAPPORTI CON I SINDACATI
L’imprenditore milanese allora impresse una sterzata apparsa poi per lunghi anni anche molto dura nelle relazioni in fabbrica con i sindacati – ritenuta peraltro da molti osservatori esterni dolorosamente inevitabile – e vi avviò investimenti massicci per oltre 4 miliardi di euro per migliorare gli assetti di marcia del siderurgico e contenerne l’impatto sull’ecosistema territoriale, pur se le vicende giudiziarie culminate il 26 luglio del 2012 nel sequestro dell’area a caldo dello stabilimento disposto dall’Autorità giudiziaria avevano indotto quest’ultima a ritenere quegli interventi largamente insufficienti ad impedire gli effetti drammaticamente nocivi delle emissioni della grande fabbrica. Le prossime scadenze giudiziarie accerteranno nelle sedi competenti le eventuali responsabilità della proprietà nella conduzione dello stabilimento in relazione ai capi di imputazione ad essa addebitati.
UNA RIFLESSIONE SULLA SUA FIGURA
Ma pur nell’ambito di una prima riflessione storiografica sulla figura di Emilio Riva, è innegabile che egli sia stato un protagonista di rilievo nella storia industriale del nostro Paese nel secondo dopoguerra: una figura al tempo stesso semplice e complessa, cui andranno riconosciuti molti meriti ma anche alcuni errori.
Federico Pirro
docente universitario