Siamo in campagna elettorale. E in Italia l’ultima settimana prima del responso delle urne è caratterizzata regolarmente da una febbricitante lotta al massacro. In questa tornata, poi, la posta è altissima. Tutti gli equilibri politici, infatti, sono rimandati al mattino del 26 maggio, quando si tireranno le somme nazionali delle europee. La resa dei conti riguarderà soprattutto Matteo Renzi, il cui governo potrebbe uscire indebolito o rafforzato all’interno e all’esterno.
LA MALITALIA VISTA DA L’ESPRESSO
Tutto normale, se non vi fosse un coinvolgimento debordante anche di alcuni organi di stampa e dei loro editori. A dare una riprova di questa situazione ci ha pensato l’Espresso. Il settimanale di Carlo De Benedetti ha pubblicato nel numero di questa settimana due articoli molto duri su quella che è definita la “malitalia”, vale a dire le spese folli della Rai. L’oggetto specifico è la direzione imprenditoriale di Viale Mazzini. Sotto attacco è la presunta corruzione dell’azienda, paragonata e accostata alla peggiore gestione berlusconiana. Soldi spesi in modo personalistico, avventure finanziarie che avrebbero coinvolto distributori internazionali ritenuti discutibili: insomma un brutto sistema di potere che si perpetrerebbe da anni.
LE CONGETTURE
Nonostante la vantata presenza di documenti inediti, di fatto tutto il ragionamento sembra seguire congetture che non paiono sfociare necessariamente se non nel tentativo di screditare ogni possibile rinnovamento. Forse bisognerebbe chiedersi perché. Dato che i risultati sovente seguono una direzione opposta a quella presentata dall’Espresso. A dare fastidio, di là di tutto, è che in Italia sta emergendo faticosamente una classe dirigente che non ragiona esattamente con i criteri standard dei grandi carrozzoni di Stato. Non a caso l’invettiva esce esattamente in coincidenza con le recenti dichiarazioni di Matteo Renzi proprio sulla Rai. Il presidente del Consiglio ha promesso di ridare prestigio all’azienda, liberandola dalla lottizzazione dei partiti, e lottando contro “i numeri stravaganti rispetto ai ricavi dei concorrenti”.
Viene di pensare, insomma, che forse non tutti a sinistra siano contenti quando il settore pubblico decide di seguire logiche di mercato e di efficienza piuttosto che quelle solite dell’occupazione passiva dei posti di potere, tanto gradita al vecchio sistema.
L’ACCOSTAMENTO AL BERLUSCONISMO
Leggendo a fondo l’inchiesta, si capisce bene, oltretutto, che l’accostamento al berlusconismo serve unicamente per dimostrare l’assunto che il mercato è un male assoluto. E non stupisce che, laddove emergano gestioni che sono dinamiche e non sgradite al nuovo che avanza, la vecchia sinistra confezioni una subdola equiparazione: renziani, cioè berlusconiani.
CHI OSTACOLA UN SETTORE PUBBLICO CONCORRENZIALE
D’altronde, la buona gestione di un’azienda pubblica com’è la Rai deve essere giovane, audace e imprenditoriale. Purtroppo però, come ripete sempre Ettore Bernabei, che della Rai è stato uno storico direttore generale, vi sono lobby pseudo intellettuali e finto liberali che, invece, non vogliono e non hanno voluto mai un settore pubblico concorrenziale. E c’è una bella differenza tra una gestione subalterna ai privati, come quella che dal 2001 al 2006 ha voluto Berlusconi, e una che invece vuole vincere e deve vincere con le regole del mercato. L’alternativa alla prima non può essere continuare ad avere uno Stato senza mercato che ha paura di battere la concorrenza.
TELEVISIONE E DEMOCRAZIA
In gioco vi è l’idea stessa di bene comune. La forza della televisione pubblica è la forza stessa della democrazia. Come lo era quella di Alitalia e delle grandi banche pubbliche. E l’Espresso esprime oggi il disdegno per una conduzione democratica che investa sul piano della produttività e della crescita di prestigio, rendendo la cultura italiana capace di fare profitti più e meglio dei privati e dei competitors internazionali.
Davanti al rischio che il pubblico funzioni, si preferisce, in definitiva, diffamare e distruggere, schierandosi coerentemente contro la democrazia e contro il Paese.