L’avanzata e, in Paesi determinanti come Francia e Regno Unito, il largo successo delle forze euroscettiche e nazionalistiche non sono da considerare un fatto esogeno, ma la conseguenza della grave crisi economica, dell’ampia disoccupazione e delle politiche perseguite per affrontarla.
Quali implicazioni per l’Europa del futuro? A parte la questione della scelta del presidente della Commissione che potrà essere frutto dell’alleanza dei grandi gruppi tradizionali europei, usciti tutti ridimensionati, sono due i veri problemi rispetto ai quali, qualunque sia il Commissario, si deve valutare il risultato elettorale: il “che fare” nell’immediato, il “che fare” nella prospettiva di lungo periodo.
Partiamo dalla prospettiva di lungo periodo. L’Europa per avere un futuro deve muoversi verso l’unione politica e fiscale, secondo un’architettura di tipo federale, con un vero bilancio europeo finanziato anche con emissione di titoli di debito comune: questa è l’unica strada di tipo cooperativo che può conciliare l’integrazione con la salvaguardia del processo democratico. Questa prospettiva, già difficile fino a ieri, è resa più lontana, se non interamente compromessa, dall’avanzata degli euroscettici. Potrà il progetto di integrazione europea sopravvivere senza tale prospettiva? Molto dipende da cosa si farà nell’immediato.
Il “che fare” nella fase che si apre sin dalle prossime settimane ha una rilevanza strategica. Occorre modificare il framework sbagliato delle politiche macroeconomiche, orientarle alla rivitalizzazione della domanda aggregata per uscire dalla stagnazione e combattere la disoccupazione. Si devono disegnare i tempi del risanamento finanziario dei Paesi periferici in funzione del rafforzamento della ripresa e non viceversa, come si prospetta attualmente. Occorre che tutte le economie, anche quelle in surplus, contribuiscano al riequilibrio europeo. Ritrovare la strada della crescita economica, attraverso politiche anti-cicliche appropriate e coordinate tra i Paesi membri, appare come l’unica possibilità per contrastare le tendenze alla disgregazione. Solo con la crescita e il perseguimento della piena occupazione si possono ritrovare giustificazioni valide e comprensibili per tutti alla prospettiva di unione europea politica e fiscale.
In questa difficile congiuntura si inserisce il risultato italiano. Il nostro è l’unico Paese “sotto austerità” in cui il maggiore partito al governo esce notevolmente rafforzato. Questo non è chiaramente un premio alle politiche del rigore, bocciate alle precedenti elezioni politiche, ma il risultato degli elementi di critica e della volontà di cambiamento, dentro l’Europa, che tale partito sembra essere riuscito a convogliare.
Su questo l’Italia deve capitalizzare. Deve e può inserirsi in modo propositivo e da protagonista nella crisi di prospettiva dell’Europa. L’Italia arriva, con questo risultato elettorale, al semestre europeo con una chiara legittimazione, rafforzata dalle sconfitte altrui. Può fare proposte, può contare sulla necessità di ascolto degli altri governi che sono indeboliti e delegittimati da gravi sconfitte. Può porsene alla guida.
L’Italia deve sfruttare questo imprevisto dispiegarsi di un più ampio campo d’azione. È una responsabilità che il nostro Paese deve prendersi e saper gestire per scongiurare il rischio di fallimento del progetto di Unione europea.