La matassa ucraina porterà l’Italia e l’Europa verso una crisi energetica? Un dubbio che si intreccia con i rapporti fra Bruxelles e Mosca, i diversi orientamenti dell’Ue, le relazioni tra le due sponde dell’Atlantico e le priorità della Penisola per il prossimo G7 Energia che si svolgerà a Roma.
Ecco alcuni temi affrontati in una conversazione con Davide Tabarelli, economista esperto in materia energetica e presidente di Nomisma Energia.
L’intervista è parte di una serie approfondimenti di Formiche.net sul G7 Energia e a latere del seminario organizzato dal Centro Studi Americani e da Formiche per il 5 maggio.
Crede che la crisi ucraina ponga un reale pericolo di sicurezza energetica per l’Italia? E quali sarebbero le conseguenze di un allentamento strutturale dei rapporti con la Russia?
Siamo passati da periodi ben peggiori, come gli shock energetici degli anni ’70. E altre crisi meno forti, ma ugualmente importanti ci sono state. Ciò non significa che la situazione odierna non sia grave. Con la Russia abbiamo una lunga tradizione di scambi industriali ed energetici, risalenti agli anni ’30 con i Pirelli e gli Agnelli e poi proseguiti con l’Eni e nuovi gasdotti.
Chi come l’Italia ha come base della propria economia la manifattura, ha bisogno di energia a basso prezzo per essere competitiva. Certo, queste criticità vanno sottolineate, ma sono scenari utopici, perché non credo che alla Russia convenga privarsi di un mercato come quello europeo, non ne ha nessun interesse. Così come non è utile per noi comminare sanzioni che possano mettere davvero a repentaglio i rapporti con Mosca. Vorrei che lo si dicesse chiaramente a livello europeo. L’economia russa e quella di Bruxelles devono rimanere intrecciate, perché sono due mercati complementari.
Ritiene lo shale gas una risposta alla nostra sete di energia?
Lo shale gas sarà una grossa risorsa per gli Stati Uniti, per i quali rappresenta una rivoluzione. ma rimane confinata lì. In primo luogo perché ci sono dei problemi tecnici: il gas non si può esportare così facilmente e se proprio riusciranno farlo, che un po’ ne arriverà, preferiranno allora mercati come il Giappone, disposti a pagare di più.
L’Europa penserà mai al fracking come strumento per emanciparsi dalla troppa dipendenza dall’estero?
Credo di no. C’è una cultura totalmente diversa. Sarà comunque interessante vedere cosa accadrà nel Regno Unito, dove c’è maggiore mentalità industriale. In ogni caso, anche loro, pur raddoppiando la produzione di gas negli anni ‘90, hanno sempre operato offshore. Farlo su terra è più complicato. Oltre alle resistenze ambientaliste, che magari non ci sono nell’Est Europa, c’è da considerare i problemi tecnici e le differenze con il know-how e le capacità d’investimento peculiari degli Stati Uniti. Condizioni irripetibili. Io mi concentrerei sul tanto gas e petrolio convenzionale che ancora non riusciamo a sfruttare. L’Italia, in fondo, è la continuazione geologica del Nord Africa, dove si trovano riserve importantissime, come quella libica.
Quali sono secondo lei le priorità per il G7 Energia che si svolgerà a Roma il 5 e il 6 maggio?
Vorrei che gli Usa si liberassero dal divieto di esportare greggio. Credo che il prezzo del petrolio sia troppo alto e sia stato inflazionato dalla finanza. Siamo uno dei Paesi più esposti, con effetti negativi che si riverberano sulle nostre imprese in termini di perdita di competitività. Tutto ruota intorno al Brent. Se gli americani esportassero, si avrebbe un effetto positivo immediato sui costi dell’energia, soprattutto per un Paese come il nostro, dipendente in larga parte dagli idrocarburi. E poi, bisognerebbe dire con chiarezza che se la Russia smette di esportare, il prezzo del petrolio schizzerebbe alle stelle, provocando un nuovo shock petrolifero che l’Occidente tutto non può permettersi.
Quale può e deve essere il ruolo dell’Italia in questa agenda?
Il nostro Paese deve prima risolvere alcuni problemi interni, come la scarsa cultura industriale che mette a repentaglio importanti investimenti. Un esempio tragico è quello della Tap, un’opera non certo monumentale, eppure strategica, osteggiata da sparute opposizioni locali. Sarebbe un gasdotto che non passa da Russia, quindi importante anche sotto il profilo geopolitico perché ci consentirebbe di essere un po’ più liberi di contrattare. Credo sia prioritario, in questo senso, ridefinire il significato di modernità per l’Italia. Poi si potrà passare ad altro.