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Quando il land grabbing parla (anche) italiano

Si chiama “land grabbing” e identifica l’acquisizione o l’affitto su larga scala di terreni agricoli in Paesi in via di sviluppo da parte di imprese, governi stranieri o singoli soggetti privati. Il rischio per le popolazioni locali è di perdere l’accesso sulle terre cedute e sulle risorse naturali collegate alla terra e ai suoli, per esempio l’acqua. Di land grabbing in Africa è stata spesso accusata la Cina, ma in Senegal pare che anche gli italiani stiano giocando una parte. La denuncia proviene da Re:Common, associazione nata per sottrarre il controllo delle risorse naturali alla finanza e al mercato, che ha pubblicato il report Chi c’è dietro Senhuile Senethanol? I risultati di un’indagine su un furto di terra in Senegal.

La Senhuile è una società controllata per il 51% dall’italiana Tampieri Financial Group, holding delle aziende del gruppo Tampieri che ha sede a Ravenna e che produce, tra l’altro, olio alimentare ed energia rinnovabile da biomassa, e al 49% dalla società senegalese a capitale misto Senéthanol.

Il progetto – si legge nel report – è stato inizialmente avviato dalla Senéthanol, che ha affittato 20mila ettari di nella località di Fanaye, per coltivare patata dolce da destinare alla produzione di biocarburante per il mercato europeo. Dopo scontri tra sostenitori e oppositori del progetto nell’ottobre 2011, il progetto è stato sospeso per poi essere ripreso dalla Senhuile nella riserva naturale di Ndiaël, intorno alla quale sorgono una quarantina di villaggi abitati da decenni da comunità autoctone.

«La Senhuile ha iniziato a investire nel 2011, grazie a un primo decreto dell’ex presidente Abdoulaye Wade – ha spiegato Elhadji Samba Sow, rappresentante del collettivo dei villaggi dell’area, come è riportato sul sito dell’associazione Re:Common -. Allora era attiva a Fanaye e intendeva coltivare patate dolci, ma ben presto ci sono state forti proteste, sfociate in episodi di violenza che hanno provocato la morte di due persone». Per questa ragione il progetto è stato spostato nel Ndiaël, sempre nel Nord-est, ma a 30 chilometri dal sito originale. Un cambiamento attuato allorché il presidente Wade ha tolto ogni vincolo ambientale su circa 26mila ettari di foresta, concedendone poi buona parte alla compagnia per uso agricolo.

Esponenti delle comunità locali, insieme a rappresentanti del Conseil National de Concertation et de Coopération des Ruraux (Cncr, Consiglio Nazionale per la Consultazione e la Cooperazione rurale) e del gruppo ambientalista senegalese Enda Pronat, hanno appena compiuto un viaggio in Europa per sensibilizzare la società civile affinché chieda alla Tampieri di porre fine a un progetto controverso.

«Come Re:Common – dice Giulia Franchi di Re:Common -, assieme a Grain, Action Aid Italia, Peuples Solidaires e l’Oakland Institute, abbiamo fatto uno sforzo congiunto per portare in Europa quattro persone dal Senegal, rappresentanti della Ong Enda Pronat, del Consiglio Nazionale per la Concertazione e Cooperazione Rurale, del Collettivo dei 37 villaggi che si oppongono al progetto e di ActionAid Senegal. Abbiamo organizzato due eventi pubblici a Parigi e a Roma entrambi molto partecipati, nei quali è stato spiegato il progetto e le sue conseguenze. Noi di Re:Common, assieme a Grain, ci siamo occupati di analizzare la struttura societaria. Perché è stata costituita una società così complessa e oscura e con individui così controversi? Perché questa reticenza a parlare da parte della Senhuile? Quanto alla Tampieri, è consapevole della situazione e del rischio reputazionale che corre?».

ETicaNews ha contattato il gruppo Tampieri, che ha fornito queste spiegazioni.

«Senhuile è una società di diritto senegalese, costituita nel 2011 e partecipata al 51% da Tampieri Financial Group Spa, di proprietà della famiglia Tampieri, e al 49% da Senethanol Sa, con investitori senegalesi e stranieri. I soci sono due, la struttura societaria è semplice. Il progetto prevede la coltivazione del girasole. Il terreno avuto in concessione è desertico. La coltivazione del girasole è destinata sia al consumo locale sia all’esportazione verso il nostro stabilimento di Faenza, dove produciamo olio alimentare per il mercato italiano. Al momento la coltivazione del girasole è ancora in fase di test. Siamo attualmente coltivando arachidi, riso e mais, per uso alimentare, per soddisfare le richieste del Governo Senegalese. Nello scorso mese di gennaio è stato sottoscritto un protocollo d’accordo tra Senhuile e il collettivo dei villaggi della Comunità rurale di Ngnith, nel quale le parti si impegnano a operare per una coabitazione pacifica e una franca collaborazione. E’ prevista la costruzione di canali che portino acqua sia alle terre coltivate sia ai villaggi».

ActionAid ha aperto una raccolta firme per fermare il progetto: www.actionaid.it/senegal.

 

 

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