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Il (poco) senso di Report per la scienza

La trasmissione “Report” nella sua Anteprima del 19 maggio ha sferrato un violento quanto inatteso attacco al Presidente del CNR e, indirettamente quanto subdolamente, al CNR nel suo complesso, affiancandolo a una serie di “enti inutili” ai cui vertici vengono messi politici decaduti. Per capirci: subito dopo si è parlato di Antonio Marzano, presidente del Cnel, che a torto o a ragione è ormai per antonomasia il “carrozzone” che molti vorrebbero sbaraccare.
Non è la prima volta che una trasmissione del servizio pubblico dà prova di poca attenzione per la scienza considerandola, come è sempre più di moda in questo paese, qualcosa di accessorio e non una risorsa per risollevare i destini dell’Italia. La cosa questa volta, però, è ancora più mortificante del solito.
Prima di tutto perché arriva da una trasmissione di punta del servizio pubblico, con una ampio seguito tra l’opinione pubblica per le denunce di potenti corrotti, inefficienze dello stato e rapporti tra politici e mafiosi.
Poi perché si attacca il Presidente del principale ente di ricerca italiano affermando che Luigi Nicolais “dopo aver chiuso con la politica l’anno scorso meritava di mantenere una poltrona, quella che aveva già di presidente del CNR per i suoi 156 mila euro l’anno a cui si aggiunge la pensione da parlamentare e lo stipendio da professore”.
Sarebbe stato estremamente facile verificare (ma Report non lo ha fatto, cosa preoccupante per una trasmissione di inchiesta) che Nicolais ha lasciato la carica di deputato, chiedendo di accelerare la procedura di dimissioni, proprio per assumere la carica al CNR: dunque non “aveva già” la “poltrona” di presidente CNR mentre era parlamentare e le dimissioni richieste e ottenute hanno comportato anche la rinuncia alla “pensione” da parlamentare.
Ma soprattutto, si assimila Nicolais ai politici trombati o a fine carriera in cerca di collocazione quando si tratta di uno degli scienziati italiani più citati a livello internazionale e la sua nomina alla Presidenza del CNR, come previsto dalla legge della Repubblica, avviene mediante procedura di selezione. Gettare ombre su una procedura di selezione è semplicemente gettare ombra sullo Stato.
Correttezza e deontologia professionale vorrebbero, ripetiamo, che prima di arrivare a simili affermazioni ci si preoccupasse di verificare almeno su Internet. Ma c’è di più. Come dice Nicolais “far passare il messaggio fuorviante che la Presidenza del più grande Ente di ricerca pubblico italiano altro non sia che l’ennesima poltrona a disposizione della politica, da occupare o attribuire come prebenda è un esempio devastante di sensazionalismo e di mancata verifica delle notizie” che getta discredito sul CNR stesso.
Il CNR nel suo insieme, e intendo con CNR tutti i ricercatori, i tecnici, i lavoratori precari e i giovani in formazione, lotta quotidianamente da anni per sopravvivere, prima di tutto, e per mantenere alto il livello della produzione scientifica italiana nonostante i tagli alla ricerca operati da tutti i governi. Costa allo stato meno di 500 milioni, che sono appena sufficienti per pagare stipendi e spese di gestione “fisse” come luce e riscaldamento, e ne porta allo Stato altrettanti.
I soldi con cui vengono pagati le attività di ricerca e gli stipendi di centinaia di giovani precari, cioè, arrivano dai ricercatori stessi che partecipano a bandi competitivi italiani e internazionali, vincendoli per la qualità delle loro proposte e per la professionalità che mettono in campo, oppure svolgendo attività di servizio a favore di enti pubblici e di privati. Soltanto nell’Istituto di genetica molecolare che ho l’onore di dirigere circa 40 giovani vengono pagati sui fondi di ricerca che una ventina di ricercatori si procurano vincendo bandi competitivi nazionali, come AIRC e Telethon, ed europei. Attaccare la professionalità del CNR e assimilarlo agli enti inutili è una cosa che ferisce migliaia di lavoratori, molti dei quali a tempo determinato e precari.
Lo sappiamo. In qualsiasi professione ci sono i buoni ed i cattivi. Gli scienziati sono giustamente sempre più sottoposti a controlli e pagano quando sbagliano, perdendo la loro credibilità e talvolta il loro posto di lavoro. Giustamente l’opinione pubblica chiede che paghino anche i politici che hanno più possibilità di decidere le sorti del Paese. Sarebbe onesto che la stessa regola valesse per chi, ergendosi a moralizzatore, non rispetta il principio etico di trasmettere una informazione corretta e veritiera.

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