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Joseph Stiglitz spiega perché l’austerità minaccia la democrazia in Europa

La crisi economico-sociale che attanaglia l’Euro-zona non è una calamità naturale, ma il frutto di scelte umane e politiche. Strategie miopi di austerità che rischiano di ferire al cuore la fiducia dei cittadini nelle istituzioni democratiche del Vecchio Continente.

È il passaggio cruciale della lezione “Can the Euro Be Saved? An Analysis of the Future of the Currency, tenuta ieri dal premio Nobel dell’economia Joseph Stiglitz e promossa presso l’Aula Magna dell’Università LUISS “Guido Carli” dalla rivista “Politica economica” diretta da Gustavo Piga.

(TUTTE LE FOTO DI UMBERTO PIZZI TRA STIGLITZ E FITOUSSI ALLA LUISS)

ECONOMISTA CON PASSIONE POLITICA

Studioso seguace dell’insegnamento di John Maynard Keynes, già alla guida del Council for economic advancement dell’Amministrazione Clinton e Chief economist della Banca mondiale, Stiglitz è uno spirito ribelle che opera entro le istituzioni per migliorarle. Una persona che dall’impegno giovanile per i diritti civili e contro la segregazione razziale ha tratto energia per riflettere sull’eguaglianza delle opportunità e sulla realizzazione del “sogno americano”.

IL PECCATO ORIGINALE DELL’UNIONE MONETARIA EUROPEA

L’unico grande errore compiuto dall’Ue, spiega il professore della Columbia University, è stato l’adozione dell’euro. Una scelta irreversibile, che tuttavia può essere cambiata alla radice.

Mutamento che non riguarda le pur utili riforme strutturali in ogni Paese: “Perché esse non hanno prodotto la crisi, richiedono tempo, non possono tradursi in tagli alle retribuzioni o nell’ulteriore precarietà del lavoro. In tal modo acuirebbero la sofferenza e le ineguaglianze sociali comprimendo ancor più la domanda interna”.

La ragione della stagnazione produttiva, rimarca lo studioso, concerne le strategie comunitarie fondate su un’austerità che non trasforma la fine della recessione in crescita e ripresa occupazionale.

(TUTTE LE FOTO DI UMBERTO PIZZI TRA STIGLITZ E FITOUSSI ALLA LUISS)

ECCO LE CIFRE ELOQUENTI

A giudizio del Nobel le autorità europee devono prendere coscienza che molte realtà del Vecchio Continente sono prigioniere di una depressione economica. Unico tra i Paesi occidentali, soltanto la Germania si ritrova oggi con un reddito pro-capite superiore a quello del 2007, prima della crisi. Ma le cifre relative al suo tasso di sviluppo sono tutt’altro che lusinghiere: il livello medio negli ultimi 5 anni ha raggiunto lo 0,62 per cento, nonostante i continui avanzi nella bilancia commerciale.

PERSEVERARE E’ DIABOLICO

All’epoca dell’introduzione della valuta condivisa fu privilegiata la ricetta della convergenza tra le differenti monete nazionali e della riduzione contemporanea del deficit pubblico. Un duplice obiettivo perseguito con ottuso fanatismo da Fondo monetario internazionale, BCE, Commissione Ue. Reiterando l’errore con un accanimento sugli Stati più fragili, le autorità dell’Euro-zona hanno acuito le politiche di rigore aggravando gli effetti della crisi.

Ma l’austerità, rileva Stiglitz, non ha mai funzionato: “E oggi il divario nel vecchio Continente va aumentando, smentendo la fiducia neo-liberista nella razionalità dei mercati favorita dalla rimozione dei rischi di turbolenza valutaria e dalla riduzione del ruolo dei governi”.

LA STRADA DA INTRAPRENDERE

Adesso i cittadini europei sono giunti a un bivio. Proseguire nel solco dell’austerità con riforme minimali finalizzate a evitare il crollo dell’euro, imponendo una recessione permanente all’area della moneta unica. O capovolgere la rotta mettendo in atto un’innovazione radicale dell’Unione economico-monetaria e politiche orientate alla crescita.

La stella polare indicata dallo studioso prevede misure radicali. Abbandonare il mito dell’autosufficienza dei mercati, caratterizzati da informazioni asimmetriche e da forti squilibri. Promuovere moderne politiche industriali. Adottare gli Eurobond per favorire una strategia economica espansiva.

Realizzare un’armonizzazione fiscale contro la concorrenza verso il basso nella tassazione di capitali e profitti aziendali, “che produce diseguaglianze crescenti nell’accesso alla ricchezza”. Giungere a un’effettiva unione bancaria. Archiviare il miope Patto di stabilità e l’obbligo del pareggio di bilancio in Costituzione che ingabbiano le realtà produttive in rigidi vincoli aritmetici.

(TUTTE LE FOTO DI UMBERTO PIZZI TRA STIGLITZ E FITOUSSI ALLA LUISS)

UNA RIFORMA AMERICANA

La ricetta prefigurata dal premio Nobel passa poi per un cambiamento del pilastro della costruzione monetaria. La Banca centrale europea, osserva, deve rinunciare al controllo ossessivo del tasso di inflazione e avvicinarsi al modello della Federal Reserve Usa che affronta con flessibilità – grazie alla facoltà di stampare dollari garantita dal governo federale – i temi dello sviluppo e del lavoro accanto alle dinamiche dei prezzi.

È per tale ragione, precisa lo studioso, che gli Stati Uniti non soffriranno mai una crisi del debito sovrano analoga a quella europea, pur avendo un passivo di bilancio verso l’estero di gran lunga superiore rispetto all’Ue: “Comunque, in presenza di un tasso di crescita molto elevato e con un surplus di bilancio, anche un debito pubblico del 130 per cento è governabile”.

LA CARENZA DEMOCRATICA DELL’EUROPA

L’evoluzione del ruolo della Fed è stata possibile grazie a una lunga e intensa discussione democratica. Mancata nel Vecchio Continente. L’esito è stato inevitabile. Nell’assenza di un coinvolgimento decisionale dell’opinione pubblica, i governi europei hanno conservato una valuta unica molto forte che ha reso meno competitivi i loro prodotti e favorito le esportazioni americane. Riuscendo a imporre regole restrittive che hanno provocato la contrazione del credito per le piccole e medie imprese. “Così è stata minata la fiducia nella democrazia e nel progetto europei”.

(TUTTE LE FOTO DI UMBERTO PIZZI TRA STIGLITZ E FITOUSSI ALLA LUISS)


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