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La marcia nel deserto del nuovo Centrodestra. Parla Loquenzi

Una marcia nel deserto con l’obiettivo non di migliorare le percentuali di voti, ma di farsi maggioritari. Definisce così la missione del futuro centrodestra italiano il giornalista Giancarlo Loquenzi, conduttore radiofonico di Zapping 2.0 su Radio 1, e già al Foglio, che ragiona con Formiche.net sugli scenari politici di chi non guarda al Pd a trazione renziana, e certifica che “il Ncd avrà un senso solo non se suderà, anno dopo anno, qualche percentuale in più. Ma se rappresenterà l’innesco di un’impresa maggioritaria che riporti il centrodestra ad essere competitivo”.

Partito unico, federazione o coalizione: quale il primo passo del nuovo centrodestra italiano?

Al momento abbiamo l’Ncd ma non un nuovo centrodestra che va costruito. Paradossalmente c’è una sigla con un simbolo, ma uscirei dagli schemi politicistici legati al partito unico o alla nuova forma dei contenitori: si tratta di cose studiate a tavolino.

Da dove partire invece?

Dalla considerazione che un nuovo centrodestra nasce da una marcia nel deserto, dal momento che è facilmente prevedibile un lungo periodo di predominio renziano. Occorre intravedere nuovamente una politica di centrodestra che susciti interesse, entusiasmo e credibilità in un elettorato che sappiamo essere nel Paese tendenzialmente maggioritario, anche perché con Renzi in campo questa premessa dovrebbe essere modificata.

Cosa è cambiato rispetto al ’94 che sta tardando un’evoluzione netta?

Tutto. Allora c’era Berlusconi e oggi no. C’era Occhetto e la sua macchina da guerra e oggi no. Oggi abbiamo Renzi e il governo della Leopolda. Lì c’era la Lega che Berlusconi riuscì a istituzionalizzare e a portare al governo, oggi Grillo che non è assimilabile. L’operazione del ’94 si poggiava su un terreno più fertile, oggi è tutto più complicato per una nuova forza moderata sia perché Renzi è un competitor assoluto sia perché Grillo ha intercettato proprio i voti moderati.

Quale un’eventuale piattaforma programmatica, più popolare come dimostra l’esperimento Ndc-Udc, più di piazza come gli impulsi di Fi e M5S o liberale così come era la prima versione di Fermare il Declino? 

Se si inseguisse un ragionamento maggioritario allora tutti questi elementi andrebbero messi in gioco, un po’ come ha fatto Berlusconi negli ultimi anni, mescolando un po’ di populismo, di promesse liberali, di popolarismo. Renzi da quel versante ci è riuscito, con una forte connotazione moderata e che Berlusconi incredibilmente incoraggia perché, come osservato da Giuliano Ferrara, l’ex premier è convinto che il suo figlio naturale sia proprio Renzi. Per cui mentre i suoi lo spingono con toni antirenziani ad abbandonare quell’impulso, gli elettori tra un Renzi che c’è e un Berlusconi che non c’è, rischiano di scegliere il primo.

Ma i toni antirenziani alla fine sono quelli che si sono visti anche in Senato due giorni fa tra i forzisti, o no?

Berlusconi per tutto il giorno ha predicato che Fi non avrebbe mai votato il dopolavoro dei sindaci, ma alle 21.30 lui stesso ha detto a tutti di votare. Credo sia interessante, allo stato dei fatti, vedere come l’Ncd tenti di condurre una campagna elettorale maggioritaria mentre Fi una campagna proporzionale: un paradosso che in realtà non c’è.

Per quale ragione?

Il Ncd avrà un senso solo non se suderà, anno dopo anno, qualche percentuale in più. Ma se rappresenterà l’innesco di un’impresa maggioritaria che riporti il centrodestra ad essere competitivo. Invece Berlusconi non è affatto preoccupato dalle urne, non gli interessa né il 20%, né il 15%, intende solo conservare una forza medio-grande che sia determinante per la vita parlamentare, conservando vivo il marchio e che gli consenta di tenere in vita una classe dirigente molto fedele.

Quella chiave proporzionalistica favorirebbe il passo dinastico con Marina in campo?

L’unico prodotto è il nome, per cui è importante che esso venga tenuto vivo. Ma non dimentichiamo che Berlusconi è un frequente smentitore, anche di se stesso. Ad esempio ha detto sì alle primarie, al governo di coalizione, per poi correggersi con una marcia indietro sull’esecutivo e sull’inutilità delle consultazioni se il candidato sarà ancora lui. Fa parte delle sue fughe in avanti e in questo conserva molta lucidità.

Ma la sua primogenita è o no il futuro leader?

Sì, se sarebbe la difesa di uno spazio tutto suo inteso in chiave proporzionalistica, in cui manca una visione riformatrice del Paese ma insegue nicchie di elettorato come gli animalisti o gli anziani. Marina, quindi, plausibile come garante di se stesso che chiuderà a chiave i voti berlusconiani puri, non come l’ingresso in politica di un nuovo federatore dei moderati.

twitter@FDepalo

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