Sapremo il 25 notte chi avrà vinto le elezioni, che sono europee, certo, ma anche un banco di prova dei nostri futuri equilibri politici. Di una cosa possiamo essere certi: che vincerà il populismo. Diversi, si contendono il posto più alto sul podio, ma nel populismo tutti e tre ci sguazzano.
IL POPULISMO DI BERLUSCONI
Silvio, il populismo del leader autoctono, le cui promesse, tutte tradite nel passato, continuano a convincere non pochi, dato che il suo elettorato è antipolitico, nel partito ora sfasciato non ci ha mai creduto, ma solo in Lui, il «Fasotutomi» meneghino, ricco e sfasciafemmine, ora ancor più vittimista e aggressivo (una irresistibile variante dell’italico «chiagni e fotti»). Potrà anche perdere, ma sempre col brevetto del più abile populista di tutti, del primo che capì e realizzò la trasformazione della politica da teatrino in grande spettacolo.
IL MONOPOLIO DELLA RETE DI GRILLO
Beppe, il comico blogger, esibizionista e pornologo, bastian contrario di tutto e tutti, come è nella tradizione della penisola, dove raramente si vota per qualcuno e quasi sempre contro qualcuno (contro i politici, gli amministratori, i giudici, gli economisti, i banchieri, gli immigrati, i giornalisti). Con lui la politica, padrona con Silvio della televisione, ha monopolizzato la rete, questa Tv tanto più potente, perché interattiva, che consente o almeno fa sperare il rapporto diretto col Capo.
RENZI, L’EREDE DI BERLUSCONI
Matteo, il rottamatore divenuto piazzista, l’intransigente fattosi mediatore, l’uomo dall’azione fulminea e ancor più dalla parola facile e lapidaria, il figlio del furbo Guicciardini e dell’utopista La Pira, nei metodi massmediatici non poco erede di Berlusconi. La sua giovane età e l’attivismo frenetico lo hanno naturalmente condotto ad assumere tutti gli espedienti del populismo. A partire dal primo imperativo, che è la sua divisa di lotta: «O la va o la spacca». Nessuno sa come andrà a finire, difficile prevedere se riuscirà a dare una risposta duratura allo «stato di eccezione» della Seconda Repubblica. Di certo lo sta tentando.
BERGOGLIO, IL PAPA POP
Tre populismi oggi ancor più credibili, con un papa che più Pop e Blog non si può. Come i tre politici snobbano i partiti, così Francesco salta la Curia e si rivolge direttamente, senza sosta e con ogni mezzo al «popolo di Dio», che comprende anche quelli che in Dio, almeno per ora, non ci credono. Come Scalfari, come Pannella: «Voglio misericordia, non sacrifici; non sono venuto per telefonare (vocare) ai giusti, ma ai peccatori» (Mt 9, 13).
IL POPULISMO DEI COMPETITORI MINORI
Ma il populismo, questa epidemia della democrazia rappresentativa decadente, è anche dei competitori minori: venuto meno il legame forte con le idee e le ideologie, ogni partito si è fatto populista, non parla più di morale, nazione, classe, ma di moderatismo, localismo, libertà sessuale, ecologia. Tutti populisti, come mostra l’accusa che ciascuno di loro getta contro gli altri di essere «populista», per convincere così l’elettorato di non esserlo. «Renzi è come Berlusconi», tuona Grillo; «Grillo e Berlusconi, due facce della stessa medaglia», osserva Renzi. Il populismo, del resto, non è solo italiano, ma sovrabbonda in tutto il continente e trasforma le elezioni in antieuropee.
LE DUE DIMENSIONI DEL POPULISMO
Del resto non è tutto male. Occorre distinguere nel populismo due dimensioni, non di rado compresenti in misura diversa. La prima dimensione è interna alla democrazia: convinto che sia degenerata, il populista vuole che torni ad essere il «potere del popolo», contro i partiti divenuti delle «cose nostre» e i politici trasformatisi in una «casta». Il populismo è un campanello d’allarme contro la degenerazione della democrazia. È un appassionato inconsolabile amante spietatamente tradito.
La seconda dimensione è strumentale alla trasformazione della democrazia in regime tirannico. È uno strumento dei leader autoritari, nei quali il popolo vede i Salvatori e le Guide (Duce, Führer, Caudillo, Conducator), ai quali affidare ogni potere. Uomini nati dal popolo, vicini al popolo, unici autorizzati a rappresentarlo (così fu con Mussolini e con Hitler, ma anche con altre forme di «democrazia totalitaria», da Perón a Putin).
In democrazia la scelta politica non è mai del Bene contro il Male, ma solo un calcolo di opportunità, a partire dai vantaggi e dagli svantaggi che, in un certo momento, ogni scelta comporta. L’elettore che metterà la scheda nell’urna dovrà adeguare le sue convinzioni a ciò che trova sui banconi del supermarket politico. Dato che, in ogni caso, voterà per un populismo, inutile che si chieda quale sia il migliore. Sarà già molto se riuscirà a capire quale sia il meno peggio.