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Pietro Ichino fa il punto sul renziano Jobs Act

Marzo 2014 – Renzi emana un decreto-legge che liberalizza del tutto i contratti a termine entro i limiti dei 36 mesi di durata e del 20 per cento dell’organico aziendale: anche se questo non costituisce affatto una novità sul piano europeo, però nessun Governo italiano si era mai spinto così in là nell’abbattimento del muro normativo che ostacola l’incontro fra domanda e offerta di lavoro.

Aprile – Il PD alla Camera cerca di svuotare questa iniziativa del Governo il più possibile, compatibilmente con l’esigenza di non far cadere il decreto e quindi il Governo. Il decreto arriva al Senato con diverse modifiche che ne riducono in qualche misura il contenuto originario.

Fine aprile e prima settimana di maggio – Il relatore cui la Commissione Lavoro del Senato affida il decreto (che è anche l’autore di queste note) cerca di correggerne alcuni errori e riempirne le lacune, ma in coerenza con gli intendimenti originari del Governo. Propone, per esempio, di estendere l’intervento di flessibilizzazione al lavoro a tempo indeterminato, per evitarne una ulteriore contrazione, e di riformare l’apparato sanzionatorio sui contratti a termine per adattarlo ai nuovi principi. Il Presidente della Commissione (Ncd) sostiene diverse richieste molto ragionevoli di correzione provenienti da associazioni di professionisti e di imprenditori. Un senatore altoatesino (SVP) propone di dare spazio anche nel resto di Italia a esperienze mutuate dalla vicina Germania, che a Bolzano e Trento hanno già dato buona prova. E i senatori PD? La maggior parte di questi non apprezza affatto l’operato dei colleghi PD della Camera; tuttavia non riesce a proporre nulla per esprimere concretamente una linea diversa, appare paralizzata dalla preoccupazione di una spaccatura con i propri “dissidenti” della minoranza di sinistra, finisce col “subire” le proposte degli altri membri della maggioranza cercando più che altro di limitarle al minimo necessario. Terminato nel giro di una sola (pur intensissima) settimana il lavoro in Commissione, dove non si registra un atteggiamento ostruzionistico da parte delle opposizioni,  sul testo che ne esce il Governo pone la fiducia, soltanto perché è preoccupato circa le divisioni interne al Gruppo PD. Solo nella discussione sulla fiducia, a giochi ormai chiusi, i senatori democratici sembrano a tratti ritrovare la stella polare.

Così essendo andate le cose, vien fatto di chiedere al Capo del Governo: considerato che il Jobs Act, quello vero, è ancora in larga parte da scrivere, chi lo farà in Parlamento? E chi gli darà le gambe che gli occorrono per camminare?

Leggi l’articolo nel sito di Pietro Ichino



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