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Chi plaude e chi stronca l’accordo energetico tra Russia e Cina

Dopo dieci anni di tentativi, la Russia venderà il gas alla Cina. L’accordo storico da 400 miliardi di dollari per una fornitura trentennale di Mosca per Pechino, siglato a Shangai da Vladimir Putin e dal presidente Xi Jinping, prevede che Gazprom fornisca 38 miliardi di metri cubi di gas all’anno alla China National Petroleum Corp.

Per il presidente russo, scrive il Financial Times, è “il più grande contratto nella storia del gas dell’ex Urss“. L’intesa, però, divide gli analisti e preoccupa un po’ il mondo politico occidentale.

Secondo Alberto Forchielli, socio fondatore di Mandarin Capital Partners e di Osservatorio Asia, quello di Putin non è altro che un bluff con pochissime ripercussioni sull’Europa. “Era un accordo largamente atteso da più di un decennio. Forse la crisi ucraina ha accelerato le trattative, perché Putin era desideroso di dimostrarsi più forte dell’Occidente, ma l’intesa non cambia nulla sul piano degli equilibri geopolitici. La verità è che la sua era una scelta obbligata a prescindere. L’economia russa è ferma e il 70 percento delle esportazioni russe sono di petrolio e gas. I consumi in Europa sono in calo. La Cina invece cresce e ha sete di energia. Domanda e offerta si sono incontrate“.

Un pensiero condiviso da Matteo Verda, ricercatore dell’Università di Pavia e dell’Ispi (e autore del libro “Una politica a tutto gas”) che considera addirittura l’accordo come un potenziale elemento di stabilità. “I campi di gas da cui si approvvigionerà la Cina sono in Siberia orientale. Il gas destinato all’Europa si trova invece in quelli in Siberia occidentale. Una diversificazione delle opportunità per la Russia la rende un partner più prospero e dunque più affidabile. Una cosa che è bene augurarci“. Per Verda non c’è antagonismo tra il mercato cinese e quello europeo, anzi, “quello di Gazprom è un piano di crescita, non di sostituzione“. L’Europa, al contrario, “rimane centrale per gli interessi commerciali russi: Mosca esporterà verso Pechino solo un terzo di quanto esporta nel Vecchio Continente”.

E anche per il presidente della commissione Industria del Senato Massimo Mucchetti, intervenuto a margine di un convegno dell’I-Com sulle sfide europee dell’innovazione energetica italiana tenuto ieri, “l’accordo russo-cinese non risolve i problemi di allocazione del gas russo, dal momento che la produzione si attesta attualmente su valori ben superiori ai 38 miliardi di mc citati nell’accordo. Su questa base – ha detto il deputato Pd – l’Italia ha l’opportunità di tornare a ridiscutere il prezzo del gas in arrivo dalla Russia, anche in virtù del forte potere negoziale che deriva dall’intesa tra Eni e Gazprom per la realizzazione del gasdotto South Stream, che permetterà la connessione diretta tra Russia e Europa Occidentale attraverso il Mar Nero e i Balcani aggirando l’Ucraina“.

Proprio l’accordo tra Cina e Russia sembra però aver svegliato l’Europa sulla necessità di dotarsi quanto prima di infrastrutture energetiche che consentano di diversificare le fonti di approvvigionamento. “Il nuovo scenario degli idrocarburi continentali – ha spiegato Federico Rendina sul Sole 24 Ore di ieri – può dare ossigeno ad un gran bel progetto industriale e geopolitico. Un sogno, che sembrava tutto italiano ma che da ieri ha guadagnato i favori e gli auspici di un autorevole sponsor europeo. «Mettiamoci al lavoro, subito, per creare un nuovo hub del gas dell’Europa meridionale» sprona José Manuel Barroso, presidente della commissione Ue. Il contributo cruciale – rimarca – verrà dal «corridoio sud che porterà il nuovo gas dell’Azerbaijan in Europa attraverso l’Italia dalla fine del 2019» (anche attraverso il gasdotto Tap, ndr)“.

Le dichiarazioni del presidente della Commissione europea non hanno però convinto Oscar Giannino. “Che pena la lagnosa dichiarazione di #Barroso – ha twittato l’editorialista del Messaggero e del Mattinocol cappello in mano dopo accordo gas Russia-Cina:”Mosca garantisca forniture Ue“.

Uno sprone perché l’Unione europea inizi con “urgenza” a procedere come “un’unica entità” è arrivato dal presidente dell’Enel, Paolo Andrea Colombo. Con l’accordo trentennale per la fornitura di gas siglato tra Russia e Cina – riporta il Corriere della Sera – a giudizio di Colombo, è necessario che Bruxelles promuova “in un’ottica di integrazione sia lo sviluppo, l’interconnessione e la gestione delle infrastrutture di trasporto di gas e di elettricità, sia la crescita sostenibile delle fonti rinnovabili, in un quadro normativo e regolatorio armonizzato, coerente ed omogeneo“.

Ma l’accordo tra Mosca e Pechino, potrebbe non avere solo risvolti positivi. Sempre Rendina sottolinea come “la cattiva notizia, per noi europei, è che la Russia si è assicurata una nuova poderosa differenziazione dei mercati per il suo metano, di cui ha cospicue riserve per parecchi decenni… Il suo gas sarà più contendibile, meno legato al problematico e ansimante passaggio in Europa dal versante ucraino. Così Mosca può meglio giocare sui prezzi“.

Per Luigi De Biase, giornalista del Tg5, collaboratore del Foglio ed esperto di politica estera e in particolare dell’Europa dell’Est, “il super accordo sul gas fra Russia e Cina dice due cose: l’economia globale avanza; è dura isolare Mosca attraverso le sanzioni”.

Severo nei confronti di Putin, invece, il giudizio di Gianni Riotta, già direttore del Sole 24 Ore, oggi editorialista della Stampa, secondo cui “la Cina mette alle corde Putin imponendogli un contratto capestro sul gas. La Russia svende l’argenteria di famiglia per mezza bottiglia di vodka“.

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