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Crisi ucraina, ecco perché Poroshenko può accordarsi con Putin

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Il nuovo presidente ucraino, Petro Poroshenko (nella foto) – il quarantottenne oligarca “re del cioccolato” – è certamente l’uomo giusto, andato al potere al momento giusto. Il compito che lo attende è tra i più difficili. Deve recuperare le province sudorientali, senza provocare molte vittime civili. Esse obbligherebbero Putin a intervenire, per non perdere la faccia. Deve disarmare le milizie sia nazionaliste sia filorusse. Deve ricostruire le forze armate e di polizia. Deve trovare i soldi necessari per mantenere in piedi l’economia del suo sconquassato paese. Per ora ha solamente dei fondi per pagare a Gazprom gli arretrati del gas. Deve ristabilire non solo l’ordine interno, ma anche l’equilibrio geopolitico dell’Ucraina fra l’Occidente e la Russia. I due sono strutturalmente interconnessi.

L’UOMO GIUSTO

Mi sembra l’uomo giusto per la sua storia personale. È difficile trovare al mondo un personaggio politico che abbia cambiato bandiera tante volte, con molta capacità e disinvoltura, salendo per tempo sul carro del vincitore del momento. Si è adattato alle circostanze con un pragmatismo che sfiora il cinismo. È consapevole del fatto che l’Ucraina sia un Paese di frontiera e che tale debba rimanere. Deve cercare di arrabattarsi fra Est e Ovest.

IL MOMENTO OPPORTUNO

È poi divenuto presidente al momento giusto. Putin sa che non può tirare troppo la corda. Obbligherebbe la Germania, unico paese di cui deve realmente tener conto, a schierarsi contro di lui, allineandosi con gli USA, per non essere isolata in Occidente. Da buon giocatore di scacchi e da seguace della “strategia della guerra non lineare” dimostra cautela, muta i toni, ma mantiene invariati i suoi obiettivi. Dall’inizio di maggio è divenuto addirittura conciliante, spiazzando sia gli USA sia coloro – pochi in verità – che in Europa volevano continuare a giocare con Euromaidan. Il mutamento del Cremlino è iniziato chiedendo agli insorti filorussi del Donbass di posticipare il referendum dell’11 maggio sull’indipendenza. Ha poi affermato che il nuovo presidente ucraino è pienamente legittimato. Ha consentito ad aprire negoziati sul prezzo del gas. Sta diminuendo l’entità delle forze schierate sul confine ucraino. Ha mantenuto duro solo su un punto: l’annessione della Crimea, a cui però Poroshenko non può rinunciare formalmente per non provocare la reazione dei nazionalisti. Se fa sul serio lo si vedrà dal risultato dei negoziati sul gas. Il prezzo delle nuove forniture è insostenibile per la disastrata economia ucraina. Lo sarebbe anche qualora l’UE decidesse di dare una mano. È improbabile che lo faccia. Infatti, è litigiosa e divisa. Anche gli USA si trovano in un vicolo cieco. Una cosa sono le promesse e gli incoraggiamenti, fatti a Poroshenko. Tutt’altra sono i soldi. Vedremo che cosa il presidente ucraino otterrà da Obama nell’incontro che avrà con lui a Varsavia il 3 giugno.

GATTO E TOPO

Da brillante stratega quale senza dubbio è, Putin sta giocando con l’Ucraina e l’Occidente come fa il gatto con il topo. Trova certamente divertente che siano gli occidentali a pagare i debiti ucraini. Si diverte anche a fare l’“uomo di pace”. Cerca così di ripetere il successo ottenuto per le armi chimiche siriane e con il blocco dell’intervento USA in Siria, amplificato in Occidente dalla benedizione del Vaticano. La sua volontà di accomodamento è stata rafforzata dalle difficoltà incontrate per pervenire al maxi-accordo del gas con la Cina. A parer mio, a quest’ultimo è stata attribuita troppa importanza. Pechino ha sfruttato la necessità di Putin d’inviare un segnale all’Occidente, imponendo a Gazprom pesanti condizioni. Da buon realista, Putin teme la Cina ben più dell’Occidente. Gli basta che l’Ucraina rimanga neutrale. Non si opporrà alla liberalizzazione della sua economia, che eviterà a Mosca di sostenerla economicamente.

ACCORDO POSSIBILE

Poroshenko è l’uomo ideale con cui Putin può accordarsi. Entrambi sono spregiudicati, decisi e cinici. “Scaricando” gli insorti filorussi, Putin ha creato le condizioni per un accordo. La rivolta verrà schiacciata. Quanto prima, tanto meglio. Rimarrà beninteso una certa instabilità. Kiev non può usare il “pugno di ferro” oltre un certo limite. Per poterlo fare, dovrebbe mobilitare i nazionalisti del “Settore di Destra”, assetati di vendetta. Messi con le spalle al muro, gli insorti filorussi resisterebbero fino alla fine. Le città dovrebbero essere rastrellate casa per casa. Subirebbero enormi danni. Nel 2000, Poroshenko fondò, con l’ex-presidente filorusso Yanukovich, il Partito delle Regioni, fautore di un accentuato decentramento amministrativo, coerente con la realtà della società ucraina. Rilancerà il progetto, che aveva rinnegato aderendo alla “Rivoluzione Arancione”. È appoggiato in questo da Mosca. Il Cremlino eserciterà la sua influenza sui filorussi perché si accontentino del federalismo. Con l’annessione della Crimea, la Russia ha perduto l’Ucraina. Un atteggiamento aggressivo, con la ricerca di riportare l’Ucraina nell’orbita russa e dell’Unione Eurasiatica, provocherebbe non tanto la reazione dell’Occidente – che continuerà a rimanere “sparpagliato” – quanto la necessità di accollarsi i costi della ricostruzione economica del paese. Rischierebbe poi di impelagare la Russia in una possibile guerra civile.

IL PESO DEI SOLDI

La solidarietà etnica va bene, ma i soldi sono soldi. Certamente Putin preferisce che l’Occidente si accolli i costi. D’altronde, prima o poi, i contribuenti occidentali si chiederanno chi glielo fa fare. La chiusura dei cordoni della borsa da parte occidentale, indurrà molti ucraini a rivolgersi a Mosca. Il tempo gioca a favore di Putin. Penso che Poroshenko lo sappia e che si stia preparando a costruire il difficile equilibrio fra i due. Giocherà su entrambi i fronti.

IL RITORNO DEI NAZIONALISMI

Dal punto di vista dell’analisi geopolitica, il caso ucraino è molto interessante per studiare la strategia che può essere seguita in un mondo in cui la sempre più intensa globalizzazione, è accompagnata da frammentazioni e da un crescente ritorno dei nazionalismi. Poroshenko dovrà negoziare sia con l’Occidente che con la Federazione Russa. L’Europa gli è necessaria e non solo per l’economia. Non per nulla il suo principale alleato è l’ex-pugile Klitschko, uno dei capi di Euromaidan. Egli è membro della Fondazione Adenauer, dinamico “braccio” esterno della CDU tedesca. Gli USA gli sono necessari non solo per gli aiuti militari, indispensabili per riprendere il controllo delle regioni russofile, ma anche come bargaining chip nei suoi negoziati con Mosca, dove si recherà a metà giugno. Allora il “tradimento” di Putin nei confronti degli ucraini filorussi sarà già stato consumato, in nome della “ragion di stato”.

LA LUCE IN FONDO AL TUNNEL

Insomma, in Ucraina, sembra intravedersi una luce in fondo al tunnel. Varie incertezze però permangono. Le principali sono due. Primo, la capacità delle deboli forze armate di Kiev di prendere il controllo delle province insorte, in tempi ridotti, senza troppi danni collaterali e senza un eccessivo ricorso alle milizie nazionaliste dell’Ovest del paese. Secondo, la capacità di Poroshenko di mediare fra le varie forze politiche, di disarmare le milizie, di garantire a Mosca la neutralità dell’Ucraina e di attuare l’ampio decentramento amministrativo, culturale ed economico, reso necessario dalla complessa natura del paese. Un accordo fra la Russia e gli USA – o fra Mosca e l’UE, cioè con la Germania – che garantisca all’Ucraina uno stato di neutralità simile a quello previsto nel 1878 dal Congresso di Berlino per il Belgio, potrebbe essere un’ipotesi da approfondire. Ripristinerebbe lo status quo precedente alle sconsiderate iniziative occidentali di sostegno all’Euromaidan. Corrisponderebbe alla diffusa volontà della popolazione ucraina di allontanarsi dal baratro a cui l’hanno avvicinata gli estremisti.

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