Realizzare con la legge di bilancio 2014 il progetto di “rivoluzione liberale” che l’Italia attende da almeno 30 anni. Colmare un ritardo storico di cui l’intero ceto politico alternatosi al potere dal 1994 in poi porta una responsabilità gravissima ed epocale. È l’ambiziosa scommessa lanciata da da Mario Baldassarri, artefice con il centro studi da lui fondato e guidato dell’ottavo Rapporto sull’economia italiana.
SERVE UNA MANOVRA RADICALE
Un documento, presentato all’Istituto “Luigi Sturzo” di Roma, ricco di analisi rigorose e impietose sul lungo processo di accumulazione della montagna di debito pubblico e sul risultato nefasto delle ricette di austerità finanziaria adottate dall’inizio della crisi. Lettura cui si affiancano previsioni poco incoraggianti sulla possibilità di una piena ripresa nel breve termine.
Per tale ragione lo studioso prospetta al governo di Matteo Renzi una legge di stabilità fondata su riforme radicali, allo scopo di uscire dalla stagnazione entro il 2018. Progetto che trova i propri pilastri nell’adozione a livello comunitario della parità di cambio tra euro e dollaro, nella riduzione strutturale di 30 miliardi di spesa pubblica tramite un robusto programma di privatizzazioni, nel taglio dell’IRPEF per 15 miliardi e dell’IRAP per 22, nel rilancio di investimenti produttivi mirati, nel pagamento dei debiti commerciali della PA.
L’IRRESPONSABILITA’ AL POTERE
Misure più che mai urgenti, spiega l’ex parlamentare di Alleanza nazionale ed ex viceministro dell’Economia, perché rinviate dalla classe dirigente degli ultimi vent’anni. Un mondo la cui fortuna è stata legata al mantenimento e alla crescita della spesa pubblica anziché alla riduzione del perimetro dello Stato. E che ha privilegiato la strada popolare della creazione di deficit rispetto al calo di uscite e tasse. Neutralizzando le prospettive di sviluppo e rendendo il nostro paese vulnerabile di fronte alla crisi.
COME TAGLIARE LA SPESA?
Ma è possibile, chiede il direttore del TgCom Alessandro Banfi, ridurre la spesa pubblica visto che non sono riusciti a farlo le manovre finanziarie dei governi Monti e Letta?
Una risposta positiva giunge dal Commissario per la spending review Carlo Cottarelli, che tuttavia nutre riserve sulla realizzabilità del piano prefigurato da Baldassarri. Ricordando come una crescita rilevante del PIL passi per il taglio permanente del passivo di bilancio, la vendita massiccia del patrimonio immobiliare pubblico, l’introduzione di tetti di spesa pluriennali vincolanti, l’economista ritiene irrealistico ricondurre a 1 il rapporto tra la valuta Usa e quella Ue.
RICHIAMO AL REALISMO
Ribadendo l’obiettivo di interventi complessivi per 32 miliardi di euro sulle uscite correnti entro il 2016, Cottarelli punta con forza sulla razionalizzazione delle risorse per comprare beni e servizi. A suo giudizio si può andare al di là dei 7 miliardi di risparmi prospettati dal governo grazie a processi di aggregazione degli acquisti di strumenti sanitari, alla valorizzazione e gestione degli edifici pubblici, alla riorganizzazione delle forze di polizia. Azioni che potrebbero portare nelle casse erariali circa 13 miliardi di euro.
Meno ambiziosa è la sua proposta di riduzione dei trasferimenti pubblici a fondo perduto a favore delle imprese. Ai suoi occhi è ragionevole parlare di 12 miliardi rispetto ai 24 contenuti nel progetto Baldassarri: “Una parte significativa di tale somma è costituita da contratti di servizio con le aziende fornitrici di servizi pubblici locali”.
UNA FINESTRA DI OPPORTUNITA’
Fiducia nell’apertura di spazi per investimenti produttivi prodotta dalla revisione della spesa e dalle riforme strutturali viene manifestata da Fabrizio Balassone, vice-capo del Servizio struttura economica della Banca d’Italia.
Grazie agli interventi effettuati dalla BCE e alle politiche di bilancio messe in atto dai governi nazionali, osserva, la fase critica della crisi finanziaria è superata. Sfruttando i margini di avanzo primario prodotti dalla riduzione del rapporto deficit-PIL è ora possibile cogliere i segnali di ripresa della produzione industriale registrati a inizio 2014.
Argomentazioni riprese dal direttore del Censis Giuseppe Roma: “Il clima politico e sociale di speranza prodotto dall’avvento e dalle prime iniziative del governo Renzi è una fattore rilevante ancorché volatile in un paese percorso da sentimenti di precarietà e incertezza sul futuro”.
LIBERARE L’ITALIA DAI MALI ATAVICI
Il problema fondamentale per la ripresa economica, osserva il sociologo, resta il livello ridotto di investimenti stranieri nel nostro Paese. Un volume di risorse pari a 370 miliardi di euro: la metà della Spagna e della Francia, un quarto della Germania, un terzo della Gran Bretagna. Per tale ragione “non si può lavorare soltanto sul risanamento dei conti pubblici, ma sulla liberazione della società italiana dai mali storici della corruzione, illegalità, egemonia dei gruppi di potere”.
ABBATTERE L’OPPRESSIONE FISCALE
Arretratezze cui Roberto Mazzotta, politico della Democrazia cristiana già presidente di Cariplo e Banca Popolare di Milano, affianca un regime fiscale oppressivo. L’unica strada per promuovere lo sviluppo e rimettere in moto il mercato dei capitali, rimarca, è abbattere le tasse che hanno oltrepassato ogni limite nel colpire e sperperare la ricchezza di tutti i gruppi sociali.
È la sola ricetta finora mai adottata dai governi di ogni colore, e che se fosse fatta propria da una forza politica troverebbe grande adesione popolare. “Perché toglierebbe risorse all’establishment della mano pubblica, forte di un’elevata capacità di relazione con il potere”.
LA RISPOSTA DEL PD
Relazioni che per il responsabile economico del PD Filippo Taddei anche il ceto imprenditoriale deve avere il coraggio di rompere, per scegliere la strada della creatività e dell’innovazione. Ma il recupero della storica vocazione manifatturiera dell’Italia richiede un cambiamento delle strategie finanziarie europee. Perché a partire dal 2008 il nostro Paese ha visto crollare di 4 punti la produzione industriale.
Gli ostacoli rappresentati dal Fiscal Compact possono essere affrontati in due forme. Intervenire sul numeratore del rapporto debito pubblico-PIL proseguendo su politiche finanziarie molto dure ed evocando manovre di bilancio per 50 miliardi di euro annui. Oppure agire sul denominatore, favorendo la creazione di ricchezza.
IL MONITO DEI MONTIANI
La scelta di Taddei ricade sulla seconda opzione, così come quella della parlamentare di Scelta Civica Irene Tinagli. La quale però rileva nel Documento di economia e finanza del governo l’assenza di un intervento adeguato di privatizzazione e liberalizzazione delle partecipazioni pubbliche nell’economia.
Requisiti essenziali, precisa la studiosa rivendicando la necessità di abrogare i finanziamenti a pioggia a vantaggio delle imprese, per la riduzione strutturale del passivo di bilancio e per rendere l’economia concorrenziale e attrattiva per gli investimenti esteri.
LA BATTAGLIA DELLA LEGA
Guarda invece alle responsabilità dell’Unione monetaria l’esponente della Lega Nord Giancarlo Giorgetti. Manifestando condivisione per l’idea di rapporto paritario tra euro e dollaro, l’esperto economico del Carroccio ribadisce che la valuta unica presenta un cambio troppo forte e rigido non compatibile con l’economia reale. Le politiche di austerità che frenano il PIL e rendono intollerabile il macigno del debito pubblico ne rappresentano un effetto inevitabile.
Allo stesso modo “per trasformare il ruolo della BCE nella direzione della Federal Riserve nordamericana è necessario modificare i trattati comunitari”. Ed è in tale ottica che le “camicie verdi” hanno promosso l’iniziativa comune con i gruppi euro-scettici.
Il che, ammonisce il parlamentare lumbard, non equivale a intraprendere strategie di spesa pubblica e inasprimento della pressione fiscale. Ma presuppone un meccanismo federalista rigoroso e premiante per le amministrazioni locali virtuose, fondato su fabbisogni e costi standard per l’acquisto di beni e servizi.
RIVENDICAZIONE ORGOGLIOSA
Radicalmente contrarie le tesi esposte dall’ex responsabile dell’Economia Fabrizio Saccomanni. A giudizio del quale tutti e tre gli ultimi governi hanno perseguito l’obiettivo di fermare la crisi finanziaria, rimettere in moto la crescita, realizzare le riforme strutturali a partire dal piano di privatizzazioni e dal progetto industriale messi in cantiere dall’esecutivo Letta.
A non funzionare, rileva l’ex direttore generale di Bankitalia, è stata la scarsa stabilità dei governi, che “rende impraticabile attrarre un volume rilevante di investimenti produttivi, promuovere i consumi, accedere al credito, spendere i fondi comunitari disponibili”.
IL FUTURO DEL GOVERNO RENZI
Se è vero che “una politica economica non si può improvvisare in pochi minuti” e che “ci vorrà tempo prima di tornare ai livelli produttivi pre-crisi”, l’ex ministro ritiene che la presidenza di turno italiana dell’Ue potrà conferire una grande spinta agli investimenti in chiave anti-ciclica: “Un’operazione di almeno mille miliardi che tuttavia il mercato di capitali è restia ad apprezzare”.
L’autentico ostacolo da affrontare per l’esecutivo Renzi sarà a suo avviso il percorso parlamentare della legge di stabilità, foriero di nuove spese e aumento di tasse. Mentre negli altri paesi democratici tale provvedimento non è emendabile dal Parlamento, pena la caduta del governo.