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Cantone anti corruzione, 3 consigli non richiesti a Renzi

Fondere l’Autorità Nazionale Anti Corruzione (ANAC) con l’Autorità della Vigilanza dei Contratti Pubblici non è di per sé un’idea sbagliata. Ha il vantaggio di rimediare alla nostra prima critica “storica” all’ANAC così come è stata creata: la scarsità di dipendenti e di poteri di ispezione. Ora da 12-20 dipendenti che fossero l’ANAC avrà i 330 dipendenti in più che gli porta in dote l’AVCP e unità dedicate della Guardia di Finanza dedicati. Non è poco, anche se non sarà facile far ripartire l’entusiasmo di tanti funzionari dell’AVCP e riorientare le loro sensibilità a una maggiore operatività di quella in cui hanno operato in questi anni. Non aiuterà certo il taglio degli stipendi e dei posti che pare sia previsto con l’operazione di fusione tra le due Autorità.

Ma la lotta alla corruzione, che è fenomeno incrostato nella cultura e nei gangli sociali di ogni Paese, richiede ben altro e non mi pare che questo sia chiaro al nostro Premier né mi pare, al Presidente Cantone. Il momento è propizio per segnalargli i prossimi passi. Li menziono in ordine di crescente importanza.

1. Una legislazione serie per stimolare il pentitismo contro la corruzione. Matteo Renzi esclama “chi ha notizie di reato di corruzione salga le scale di un tribunale e denunci”. Sorry, Presidente, ma non ci siamo. I testimoni di corruzione, in tutti i Paesi al mondo che lottano seriamente la corruzione, vengono incentivati ad uscir fuori e protetti. Negli Usa ricevono fino al 30% delle somme recuperate. Da noi l’attuale legge gli garantisce pressoché nulla né in termini di protezione che di incentivi.

2. Un rafforzamento enorme dei poteri e delle risorse dell’Antitrust (AGCM) sugli appalti pubblici e un coordinamento vero, e non formale come è stato sinora, con la nuova Autorità (ANAC+AVCP) presieduta da Cantone. Perché se c’è una cosa che sappiamo, sulle poche sappiamo sulla corruzione, è che cartelli e corruzione si rafforzano a vicenda: combattere i cartelli, pervasivi negli appalti, è probabilmente il modo più efficace per combattere la corruzione negli appalti, Expo e Mose insegnano, a quanto pare. Ma l’Antitrust ha svolto sinora solo 22 istruttorie in 22 anni: segno di indifferenza totale della politica a investire su disponibilità di dati (essenziali per dirci dove ispezionare) e di persone (essenziali per ispezionare).

E già che ci siamo, che fare con le competenze accumulate dalla DIA in tema di Antimafia? Perché un’altra cosa che sappiamo è che mafia, cartelli e corruzione vanno ancora meglio a passeggio assieme.

E già che ci siamo che fare dei dati sui reati di corruzione che giacciono negli scantinati di Istat e Ministero della Giustizia?

3. Ma l’ultimo pezzo del puzzle è forse quello più importante: incompetenza e corruzione vanno a braccetto. Là dove c’è incompetenza presso la stazione appaltante è più facile che la corruzione si infili senza ostacoli. Là dove vi è corruzione imperante non si sente il bisogno di investire sulle competenze. Rovesciando il giocattolo, si scoprono tuttavia altre cose interessanti: là dove c’è competenza, ben remunerata e ben organizzata, cessa l’ossigeno per la corruzione. Ridurre ad un numero realistico le decine di migliaia di punti ordinanti della Pubblica Amministrazione, lasciandone poco più di un migliaio (così da non centralizzare troppo gli appalti, cosa che uccide le PMI sul territorio e facilita i cartelli di grandi imprese) e assumendo in questi i migliori e più competenti dei “buyer” (la parola inglese che va di moda oggi per dire acquirente) remunerandoli (immensamente) a performance e obbligandoli a investire nelle competenze … e il gioco è fatto.

La corruzione, se siamo seri nel cercare di ostacolarla, va combattuta fin nei minimi dettagli. L’approssimazione non è consentita.

Sveglia, è l’ora giusta per la vera spending review.

(L’analisi integrale si può leggere sul blog di Gustavo Piga)



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