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Vi spiego perché non mi entusiasma una Leopolda di Centrodestra. Parla Carlo Lottieri

La scelta compiuta da Forza Italia di appoggiare le proposte referendarie della Lega su previdenza e immigrazione non segna soltanto il tentativo di ricostituire “l’asse del Nord”. E di riconquistare i ceti produttivi che hanno contribuito alla vittoria elettorale del PD di Matteo Renzi. Ma prefigura un panorama problematico e ricco di incognite del centro-destra italiano.

Nel quale appaiono complicate le prospettive di una ricostruzione dell’alleanza dei conservatori, moderati, popolari e liberali. Ed è lontana la possibilità di un rinnovamento radicale del loro ceto dirigente. Per individuare le vie di uscita a tale stallo Formiche.net ha interpellato Carlo Lottieri, filosofo liberale e saggista appassionato di federalismo e autonomismo oltre che direttore del Dipartimento di Teoria politica dell’Istituto Bruno Leoni.

Come giudica la riproposizione di un progetto forza-leghista?

Trovo curiosa l’iniziativa. La Lega Nord ha riscosso un relativo piccolo successo nelle urne europee. Ma non certo sui temi appartenenti al suo patrimonio storico, come la difesa dei ceti produttivi settentrionali soffocati dall’oppressione burocratica e fiscale dello Stato centrale. Le “camicie verdi” si sono mosse in competizione con Fratelli d’Italia in una prospettiva nazionalistica contro la minaccia europea. La nuova alleanza tra Forza Italia e Carroccio, maturata dopo una stagione fallimentare dell’asse Umberto Bossi-Silvio Berlusconi al governo, potrebbe tuttavia produrre effetti rilevanti.

Per quale motivo?

La “questione territoriale” costituirà uno dei temi centrali nell’agenda politica italiana. Il nostro Paese presenta infatti un’asimmetria fra economie e culture del Nord e del Sud senza eguali in Europa. Da una parte esistono classi imprenditoriali che pagano una mole intollerabile di tasse ricevendo briciole dal potere nazionale. Dall’altra emerge un Mezzogiorno il cui sviluppo è stato drogato dallo sperpero dei fondi pubblici.

Le incompatibilità programmatiche riscontrate tra i partiti del centro-destra rendono impensabile un’alleanza unitaria?

È un approdo difficile da raggiungere, a causa della carenza e della scarsa credibilità del personale e degli attori politici. Lacune che enfatizzano le divergenze sui contenuti. Nell’Italia di oggi vi sarebbe bisogno di una grande area liberal-conservatrice, che non sia ridicola e populista sui temi dell’immigrazione visto che siamo tornati un paese di emigranti. E che non utilizzi la campagna contro l’euro per ritornare alla vecchia lira fonte di inflazione incontrollata.

È percorribile l’ipotesi di una “Leopolda di centrodestratramite elezioni primarie o un’assemblea costituente?

Mantengo un punto di vista molto cinico su questi strumenti. Si tratta di meccanismi artificiosi, poiché la classe politica si riproduce da sé. E interpella la cittadinanza, con elezioni ed eventuali consultazioni primarie, a giochi fatti.

Non vede personalità in grado di sfidare l’establishment e competere per la guida dei moderati?

I leader autentici costruiscono il loro carisma attraverso atti e iniziative. Attualmente registro un deserto di figure rilevanti, nonostante si posano immaginare successioni politiche ereditarie. Ormai in precise aree come il Nord-Est l’elettorato non guarda più al centro-destra. L’anno scorso si è rivolto a Beppe Grillo, oggi si è orientato verso Renzi considerandolo l’ultima spiaggia.

E se il premier dovesse fallire?

È pensabile che riversi il proprio consenso sui movimenti indipendentisti che propongono la disgregazione dello Stato. Ben diversi e molto più rigorosi della Lega.

Il centro-destra potrebbe rilanciare la “rivoluzione liberale” del 1994?

Non penso. Ed è incredibile tale impotenza e vuoto politico a fronte di un debito pubblico e previdenziale che pregiudicano il nostro futuro, oltre che di una tassazione intollerabile.

Forza Italia e il centro-destra sono condannati alla subalternità rispetto al duopolio Grillo-Renzi?

Sì. Ma si tratta di un bipolarismo strano e anomalo, per l’assoluta mancanza di credibilità del Movimento Cinque Stelle, funzionale alla forza del Partito democratico. Il cui leader si è rivelato abile nello scivolare dal ruolo di rottamatore a garante della stabilità degli assetti di potere.


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