Dopo l’orrore, la scintillante bellezza del calcio accarezzato, l’intelligenza dei frombolieri che con perizia balistica centrano il bersaglio, la passione di giocatori che sorridendo rovesciano risultati ed eccitano l’entusiasmo delle tifoserie sugli spalti dove seducenti passi di danza accennati si combinano con forti richiami al l’orgoglio nazionale. Questo elisir, mixato nel piccolo stadio di Porto Alegre, ci ha riconciliato con il football, quello vero, fatto di armoniosa eleganza agonistica ed inventiva, di onore e di rispetto, di sana voglia di primeggiare e di giocate fantastiche come quelle di Messi e di Musa.
Ma certo, Argentina-Nigeria è stata più che un antidoto alla negazione del calcio andata in scena a Natal tra Italia e Uruguay, due nazionali che abbiamo nel cuore per tanti motivi, ma che non hanno onorato il calcio e il Mondiale neppure per pochi secondi. Non è stata soltanto la più brutta partita del torneo vista finora (difficilmente il negativo record potrà essere battuto), ma un vero tradimento ai danni del gioco più bello del mondo, il “re dei giochi”, come lo definì anni fa quel geniale osservatore e studioso del fenomeno che è Vladimir Dimitrijevic, paragonandolo al gioco degli scacchi il cui fine è lo scacco matto che nel calcio è, ovviamente, il gol. E quando il gol, approdo dell’invenzione o dell’errore avversario, pulito comunque, marca la supremazia permanente o provvisoria di questa o quella squadra, il delirio esplode gioioso quale proiezione naturale di uno slancio inconscio che recepisce la partita alla stregua di una battaglia incruenta tra eserciti che possono non amarsi per novanta minuti, ma al fischio dell’arbitro ripongono le ostilità e si abbracciano. Vincent Eyneiama, portiere della Nigeria, e Lionel Messi che lo aveva appena trafitto per la seconda volta, si sono guardati negli occhi sorridendo e si sono stretti la mano. Fatela vedere al Cannibale di Montevideo questa fotografia che rapisce un attimo di civiltà consegnandolo alla grande storia dello sport.
A Porto Alegre non si sono uditi i cupi tamburi di guerra che risuonano in Nigeria terrorizzando un popolo gentile e gioioso, come le danze e le musiche che scandivano fino a qualche tempo fa la sua vita. Sugli spalti gli occhi luminosi delle ragazze, simili a quelli delle loro coetanee rapite, violentate e uccise dagli sciacalli sanguinari di Boko Haram, non si inumidivano di commozione soltanto per le gesta dei loro verdi connazionali, ma anche per le giocate di Messi e Lavezzi, di Roja e Mascherano, di Fernandez e Aguero. E poco importa se la Seleccion ha vinto di misura il denso incontro: importante è che la nazionale africana abbia ottenuto la qualificazione al turno successivo, laddove una derelitta Italia, mestamente e tra le polemiche, ha dovuto lasciare il Brasile anzitempo, con vergogna e disprezzo. L’Uruguay, invece, che sessantaquattro anni dopo non ha certo onorato la memoria di un gigante come Obdulio Varela, proseguirà il Mondiale non certo seguito dalla simpatia degli amanti del calcio.
Ecco un’idea da offrire al prossimo Commissario tecnico della nazionale italiana: organizzi uno stage presso la nazionale nigeriana, magari lontano da Abuja (troppe distrazioni!) e non proprio negli impervi territori controllati dagli integralisti islamici, ma in un qualche luogo comunque decoroso e protetto a prova di desiderio di wags alla facile ricerca di esotismi a buon mercato e di pubblicità riflessa. Hai visto mai che Musa e compagni non offrano quel che a Coverciano è ormai impossibile trovare? Se proprio la Nigeria non dovesse andare bene, ci sono sempre la Bosnia e l’Iran in grado di insegnare qualcosa ai nostri calciatori i quali se proprio non vogliono spingersi in terre incognite, basta che facciano un salto nella vicina e salubre Svizzera dove troveranno Shaquiri, Inler, Dzemaili, Behrami, qualificati con pieno merito, che certo non rifiuteranno qualche ora di ripetizione ad una ventina di compagni in stato confusionale.