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F-35, gli intoppi tra realtà e pregiudizi

La stampa generalista ha dedicato diverso spazio a un incidente che ha riguardato nei giorni scorsi un caccia F-35, fermato da un principio di incendio durante il decollo dalla base di Eglin, in Florida.

L’infortunio del velivolo di Lockheed Martin ha portato alla sospensione di alcune sessioni di addestramento, ma non ha stupito gli addetti ai lavori e i media specializzati.

Come è accaduto in principio per l’Eurofighter e come si verifica sovente per gli aerei in fase di test, non è raro che ci si imbatta in problemi tecnici, frutto perlopiù del forte stress a cui i velivoli vengono sottoposti.

Questa è infatti la fase in cui far emergere potenziali vulnerabilità, che devono essere sanate prima che il caccia diventi operativo.

E malgrado qualche intoppo, come quelli in via di risoluzione col software, l’F-35 continua a registrare progressi. Secondo un’ultima analisi del Pentagono citata da Bloomberg, il costo previsto per aggiornare i caccia di Lockheed Martin è diminuito di circa 920 milioni dollari, circa il 36 per cento, in meno di due anni.

Dati che confermano il trend in discesa (e quindi meno oneroso) già documentato nella sua relazione annuale dal Gao, la sezione investigativa di Capitol Hill dedita all’auditing e alla valutazione, chiamata a riferire ogni anno sul costo dei maggiori programmi militari.

La dimostrazione dei miglioramenti compiuti è anche nel fioccare di ordini del caccia. Prima della recente conferma del Canada, intenzionata ad acquistarne 65, sono già diversi i Paesi – Regno Unito, Olanda, Australia, Turchia per citarne alcuni – che hanno confermato la propria volontà di puntare sul velivolo di Lockheed Martin.

Buone notizie per Paesi come l’Italia, in prima linea nel programma Jsf con la Faco di Cameri, unico sito produttivo, di assemblaggio e manutenzione del velivolo al di fuori degli Stati Uniti.

Uno studio indipendente di PricewaterhouseCoopers parla, tra posti di lavoro diretti e indiretti, di 6.300 occupati nel periodo di massimo picco del programma, senza contare l’attività di “sustainment”, e di quasi 9.000 addetti includendo anche il sostegno alle flotte. Numeri che potrebbero aumentare con il crescere degli ordini.

Anche per questo, di fronte alle commissioni Difesa di Senato e Camera, il ministro della Difesa Roberta Pinotti – appena rientrata da una visita a Washington e in particolare al Pentagono – ha invitato alla responsabilità. Se la commissione della Camera ha “bocciato” i nuovi caccia, Via XX Settembre ha ritenuto doveroso informare i parlamentari che quella risoluzione non tiene conto degli impegni presi con i gli alleati della Nato, “implica oneri non trascurabili e, soprattutto, prospetta il rischio di causare effetti particolarmente negativi in termini di sostenibilità industriale”.

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