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Gay Pride, le amnesie del gaio sindaco Ignazio Marino sul cattolicesimo

Questo commento è uscito oggi sul quotidiano Il Tempo

Ignazio Marino finalmente sembra aver deciso. Dopo essersi accreditato come sindaco cattolico, ecco che adesso la sincerità ha avuto il sopravvento sul ruolo istituzionale. Davanti a Roma che festeggia oggi i vent’anni del gay pride, un evento che sicuramente rappresenta quanto di più lontano possa costituire il senso cristiano della nostra capitale, il sindaco è là, in prima fila, con orgoglio.

Le sue parole, d’altronde, sono state chiare, solenni: “Dobbiamo spingere il Parlamento affinché l’Italia superi questa vergogna di essere rimasta indietro rispetto al resto dell’Unione Europea. Stiamo facendo un lavorio per vedere se dal punto di vista giuridico sia possibile trascrivere i matrimoni gay anche celebrati in altri paesi”. D’altronde, ha precisato Marino, “io non faccio che testimoniare quello che penso”.

Bene, un ragionamento, quello del sindaco, che in sé non fa una piega. Se veramente la sua idea di matrimonio è in esatto contrasto con il valore fondamentale della famiglia, ha tutto il diritto di esprimere e rendere pubblico il suo sentire. Ci mancherebbe altro. Viene tuttavia voglia di chiedergli dove stia invece la sua coerenza di uomo. Vale a dire, come mai egli si sia dato tanto da fare per stare vicino, anzi vicinissimo, al Papa, durante la recente celebrazione della doppia canonizzazione di ben due santi che furono non soli vescovi di questa città, ma lottarono in tutti modi per difendere e sostenere la famiglia tradizionale.

Tutto ciò è un’autentica vergogna. E’ una vergogna sia sul piano politico, perché mostra l’incoerenza ed esibisce la più plateale strumentalizzazione dei principi e dei sentimenti comuni dei cristiani, ma lo è soprattutto sul piano personale.

Tutti oggi accettano che sia onesto e giusto presentare ai cittadini le proprie idee. Tutti sanno che non è detto che la fedeltà alla verità immutabile della Chiesa garantisca necessariamente popolarità, anzi. Ma prendere in giro valori e costumi che sono propri della maggior parte dei cittadini romani, questo assolutamente è inammissibile e anche di cattivo gusto.

Papa Francesco sta dimostrando al mondo che lo stile cristiano è di apertura verso gli altri, è di condivisione delle situazioni e delle libertà altrui, ma non sta in nessun modo dicendo che sia possibile mettere tutto sullo stesso piano e presentarsi, secondo i casi, una volta come baciapile e una volta come sedizioso.

Se Marino ritiene che siamo tutti impazziti e che siamo tutti degni di accettare qualsiasi cosa, ebbene si sbaglia, e si sbaglia di grosso. Il Cattolicesimo, di cui la Città Eterna si fregia con orgoglio di essere l’effige, è la sintesi culturale di una visione etica della vita chiara e permanente. E tutto ciò ha al vertice il riconoscimento che la famiglia è cellula fondamentale della società, fondata sull’unicità del matrimonio eterosessuale che genera la vita e trasmette il costume di generazione in generazione.

Se, insomma, il sindaco di Roma va al gay pride, deve decidere: o non è cattolico; o, se Roma è cattolica, non è più un degno rappresentante della città.

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