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Non solo Gomorra. Ecco le donne audaci e spregiudicate della Tv italiana

Se in politica e nelle aziende le quota rosa sono ancora in netta minoranza, in televisione avanzano spedite e raccolgono consensi. Duri a morire, gli stereotipi che le hanno accompagnate in anni di servizio pubblico e reti commerciali, stanno pian piano lasciando spazio a forme di rappresentazione nuove che guardano oltreoceano.

Milly Buonanno, docente di Sociologia dei processi culturali e comunicativi presso “Sapienza” all’Università di Roma, responsabile scientifico dell’Osservatorio GEMMA (Gender e Media Matter) e direttore dell’Osservatorio sulla fiction italiana, nonché curatrice del volume Il prisma dei generiImmagini di donne in tv (Franco Angeli editore) ,analizza in una conversazione con Formiche.net l’evoluzione dei modi di rappresentazione del femminile nella televisione e traccia le differenze tra l’esperienza italiana e quella statunitense.

Dal suo libro si intravede un cambiamento nella rappresentazione del femminile capace di erodere pian piano i consolidati stereotipi del passato. Come sta cambiando?

Senza essere dirompenti, i segnali di cambiamento che si intravedono soprattutto nella fiction televisiva sono abbastanza significativi. Innanzitutto, si va attenuando quello che in precedenti ricerche avevo definito il ‘maschiocentrismo’ della fiction italiana, ovvero la preminenza di storie incentrate su protagonisti maschi: nelle ultime stagioni si è intensificata l’offerta di storie, anche seriali, a protagonismo femminile. Inoltre, e più importante, le nuove protagoniste sono in larga parte figure di donne con spiccate caratteristiche di autonomia, forza di carattere, tensione auto-realizzativa: doti che immettono non di rado nello svolgimento dedicato e competente di professioni un tempo a dominanza maschile (polizia, magistratura, medicina…). Sono figure nelle quali è possibile riconoscere l’espressione di soggettività femminili tipicamente moderne. Questo non significa che gli stereotipi del passato siano del tutto smantellati, o che non se ne creino altri semplicemente più ‘aggiornati’. Ma è indubbio che le forme e i modi di rappresentazione del femminile in televisione si stiano evolvendo.

A cosa si deve questo cambiamento?

Di certo, anche se non esclusivamente, al netto avanzamento dello status e del protagonismo sociale delle donne nel mondo di oggi, al fatto che certe idee e posizioni del femminismo, le meno radicali, s’intende, siano ormai entrate a far parte del senso comune. Questo significa che lo stesso pubblico femminile a cui la televisione si rivolge è cambiato, e specialmente le componenti più giovani nutrono l’aspettativa e il desiderio di ritrovare sullo schermo rappresentazioni ispirate a più moderne concezioni dell’identità e dell’agire delle donne.

Cosa ne pensa della scelta della serie Gomorra di rappresentare una donna (Imma) spietata e anaffettiva, protagonista delle azioni e in netta contrapposizione con gli stereotipi positivi a cui ci ha abituato la fiction italiana?

Anche in virtù dell’eccellente interpretazione dell’attrice, il personaggio di Imma Savastano è il più interessante e intrigante della serie Gomorra, e rompe consapevolmente (lo dimostra una battuta del personaggio nel corso dell’ottavo episodio) con il radicato stereotipo culturale che assegna alla donna una natura mite, aliena dalla violenza e dall’agire criminale.

Quanto ha influito secondo lei il fatto che la serie vada in onda su Sky e non sulle reti generaliste in questa scelta?

Non c’è dubbio che un prodotto destinato a una rete tematica fruibile su una piattaforma pay consenta agli autori molte maggiori libertà e trasgressioni ideative rispetto a un prodotto analogo creato per le reti generaliste.

Ricorda figure femminili simili nella fiction italiana?

Imma Savastano ha un precedente proprio nella fiction di una rete generalista italiana. Mi riferisco al personaggio di Rosy Abate, che nella serie di Canale 5 Squadra antimafia. Palermo oggi conduce con successo, e non in funzione vicaria di un altro componente maschio della famiglia, la scalata ai vertici della mafia palermitana. Uno dei capitoli del volume Il prisma dei generi è dedicato proprio all’analisi di questa serie innovativa, che assegna per la prima volta a una donna la leadership dell’organizzazione mafiosa.

Cosa accade negli altri Paesi?

Credo si possa parlare di una tendenza internazionale emersa negli ultimi anni. Penso alla serie francese Mafiosa, al serial latino-americano La reina do sur, a serie americane, Weeds, australiane, Underbelly:Razor, danesi, Penoza, egualmente incentrate su figure di gangsters women.

La serie Gomorra è risultata convincente anche per la tv americana. Quali differenze ci sono nella rappresentazione dell’identità di genere tra la fiction statunitense e quella italiana e cosa dovrebbe fare l’Italia per sedurre i divoratori di serie americane?

Il caso di Gomorra, come a suo tempo La piovra, dimostra che siamo perfettamente capaci, a condizioni date, di creare prodotti di standard internazionale, in grado perfino di accedere al respingente mercato americano – oggi per la verità meno impenetrabile che in passato ai prodotti e soprattutto alle idee provenienti da altri paesi. Resta che, per un complesso di ragioni di natura culturale, istituzionale, professionale, la fiction americana eccelle nel presentare una ineguagliata pluralità di personaggi femminili nei più svariati ruoli protagonistici, conferendo loro sfaccettature, spessori, profili audaci e innovativi che valorizzano il cambiamento, l’identità complessa, l’empowerment delle donne nel mondo contemporaneo. Una comparazione con la fiction italiana risulterebbe ingenerosa.

Ci sono secondo lei delle differenze nel modo di rappresentare la donna (dalla fiction, all’intrattenimento fino all’informazione) e nelle scelte di conduzione tra il servizio pubblico e le reti private in Italia?

In generale le differenze non sono particolarmente significative, più cosmetiche e di facciata che di sostanza. Farei una parziale eccezione per la fiction, perché la Rai in effetti privilegia figure femminili positive ed esemplari, role models come si diceva una volta, mentre Mediaset si consente una maggiore audacia e spregiudicatezza, si veda appunto il caso di Squadra antimafia.

Nel suo libro si parla di un settore, la pubblicità, in cui si fa ancora fatica ad affermare un’immagine moderna della donna. A cosa si deve?

Questo risultato della nostra ricerca sembra suscitare particolare sorpresa e curiosità, come se dalla pubblicità più che da altri generi di programmi ci attendessimo visioni innovative e perfino culturalmente precorritrici del cambiamento. Di fatto, per una serie di ragioni che sono analiticamente esaminate nel libro, il testo pubblicitario è in qualche misura necessitato a far ricorso a stereotipi e cliché consolidati per funzionare, almeno nelle intenzioni. Ciò non toglie che elementi di novità comunque emergano –  donne assertive e ambiziose, abili nell’esercizio della ‘doppia presenza’, nella pubblicità commerciale; testimonial competenti e autorevoli nella pubblicità sociale, ma sono ‘eccezioni alla regola’.

ll prisma dei generi. Immagini di donne in tv
9788891706041
Curatore: Milly Buonanno
Contributi: Gianni Ciofalo, Fabio Corsini, Serena Fabrizio, Franca Faccioli, Mihaela Gavrila, Silvia Leonzi, Anna Lucia Natale, Paola Panarese
Collana: MediaCultura
Editore: Franco Angeli



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