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I manager statali presentano l’altra riforma della burocrazia

“Rifiutiamo con fermezza un decreto legge di riforma dell’apparato statale. Perché non esistono requisiti di necessità e urgenza che lo giustifichino. Confidiamo perciò nella saggezza del Presidente della Repubblica. Altrimenti siamo pronti a ricorrere alla Consulta”.

Alla vigilia della presentazione, prevista il 13 giugno, del piano del governo di innovazione della Pa in vista del quale la responsabile della Semplificazione Marianna Madia ha convocato le organizzazioni sindacali, l’Associazione delle classi dirigenti delle amministrazioni pubbliche guidata da Pompeo Savarino pone paletti ben precisi di metodo.

LE LINEE GUIDA DEL PROGETTO

E presso la sede della Stampa Estera rende pubblica una “contro-proposta” di revisione in risposta ai 44 punti prospettati nella lettera ai dipendenti pubblici scritta il 30 aprile dal premier Matteo Renzi e dal ministro Marianna Madia.

SEMPLIFICARE LE REGOLE

Rivendicando la bontà e la necessità di uno scambio continuo del personale dirigenziale tra apparato statale e settore privato per la vitalità del “sistema Paese”, il presidente dell’AGDP Pompeo Savarino ribadisce la volontà di partecipare al percorso di modernizzazione della Pa messo in cantiere dall’esecutivo.

Conferma la piena accettazione di sacrifici come la fissazione del tetto di 240mila euro per le retribuzioni dei manager. Ma ritiene strategica una radicale iniziativa di semplificazione normativa, per non navigare a vista e operare con autentica responsabilità. E “perché è impossibile che ogni gara pubblica provochi un ricorso alla giurisdizione amministrativa”.

IL RUOLO FONDAMENTALE DEI SEGRETARI COMUNALI

L’organizzazione rappresentativa dei dirigenti pubblici resta contraria all’abrogazione dei segretari comunali: “Figure neutre cui il governo di Mario Monti aveva attribuito robuste competenze anti-corruzione a livello locale. E che lo stesso Raffaele Cantone reputa fondamentali per un efficace presidio di legalità negli oltre 8mila comuni italiani”.

NESSUNA NOMINA POLITICA DEI VERTICI

Altro punto controverso agli occhi dei manager statali riguarda il “ruolo unico” dei vertici della Pa, e la possibilità di assumere senza concorso personale esterno all’apparato pubblico per ricoprire ruoli di responsabilità. Una scelta, spiega Savarino, che mortificherebbe il valore delle 4mila professionalità interne agli uffici. 

E che secondo il vice-presidente dell’AGDP Giovanni Savini, rischia di spingere il politico di turno a scegliere arbitrariamente – spesso nel comparto privato – i dirigenti e collaboratori pubblici più congeniali e fedeli. Anziché eliminare il “baluardo di correttezza giuridica ed etica professionale” rappresentato dai segretari comunali e precarizzare i vertici della burocrazia tramite meccanismi di spoil system, è necessaria a suo giudizio una flessibilità intelligente di meccanismi premiali sui risultati professionali raggiunti.

Provvedimenti coraggiosi che “mancano nel progetto governativo”. Al pari di un’adeguata valorizzazione della Scuola nazionale della Pubblica amministrazione, e della promozione di percorsi di formazione e aggiornamento dei lavoratori pubblici utilizzando il know how degli stessi dirigenti. Lacune che si riverberano sulle strutture stesse della Presidenza del Consiglio, “attualmente nel caos totale dal punto di vista normativo ed economico”.

UN NUOVO TITOLO V

Il percorso di ammodernamento di una macchina statale complessa, costosa, polimorfica – rileva Francesco Verbaro, docente presso la Scuola superiore della Pubblica amministrazione e già segretario generale del Ministero del Welfare – richiede una radicale revisione dell’assetto istituzionale. E dunque una riscrittura del Titolo V della Costituzione, “fonte di confusione legislativa e amministrativa tra i vari livelli della burocrazia”. Passo preliminare per procedere a una semplificazione delle regole economico-fiscali e lavorative allo scopo di attrarre investimenti produttivi.

È necessario in altre parole scegliere se decentrare di più muovendoci verso un’autentica riforma federalista o promuovere una nuova centralizzazione della Pa. L’importante, precisa lo studioso, è ridisegnare con nettezza le prerogative di Stato ed enti locali. Accorpando ministeri e centrali di spesa per controllare e ridurre le uscite pubbliche. Rimuovendo tutte le duplicazioni di strutture burocratiche e aumentando il livello delle competenze. Separando orientamento politico e autonomia amministrativa nella designazione, permanenza, cambiamento dei manager.

PRONTI A RICORRERE CONTRO LA CONSULTA

Figure, ricorda il segretario nazionale del sindacato dei dirigenti dello Stato Unadis Barbara Casagrande, che non possono essere licenziate se – come previsto nel progetto governativo – non ricevono un nuovo incarico in un arco di tempo specifico. “Si tratterebbe di una misura vessatoria, visto che già oggi è possibile rimuovere il responsabile pubblico nell’eventualità di reati e di mancato raggiungimento dei target professionali”.

Egualmente inaccettabile per Casagrande è ancorare la valutazione delle performance manageriali all’andamento del Prodotto interno lordo, “che spetta al governo favorire con le scelte politiche”. La sua paura è che in forma surrettizia si faccia strada una “filosofia del fare cassa”, dei tagli lineari, della mortificazione del merito e dei titoli acquisiti da persone vincitrici di uno o più concorsi e altamente specializzate.

L’esecutivo appare orientato a procedere in tale direzione di marcia. In tal caso – avverte la dirigente pubblica – non è escluso un ricorso alla Corte Costituzionale.


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