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Il Corriere della Sera suona la sveglia all’Italia su Irak e Libia

Mentre gli Stati Uniti provano a sbrogliare la matassa irachena attraverso il doppio strumento della diplomazia e dell’intervento militare, l’Europa latita e l’Italia non fa eccezione.

LA MIOPIA DI ROMA

A dare la sveglia al nostro Paese – già pungolato sul tema proprio da Washington che ha chiesto a Roma di assumere un ruolo-guida nel Mediterraneo -, è oggi il Corriere della Sera.
La penna di Franco Venturini disegna un quadro che vede il Vecchio Continente e la Penisola miopi di fronte a quanto accade e ai nuovi equilibri che si stanno delineando nel mondo scosso dal multilateralismo caotico figlio della globalizzazione.

È perfettamente comprensibile – scrive nel suo commento la firma del quotidiano diretto da Ferruccio de Bortoliche le nostre priorità siano la politica interna, la congiuntura economica, l’Europa, insomma tutto quel che ci tocca direttamente. Ma in questa logica selezione d’interessi, che non è soltanto italiana, rischiamo di non accorgerci che nel mondo esterno la classifica sta cambiando con una velocità mai vista dopo la fine della Guerra fredda. Si diffonde ovunque un disordine sempre più pericoloso anche per noi, torna alla ribalta il tema della guerra e della pace che credevamo sepolto sotto le macerie del Muro di Berlino, le aree più instabili del mondo si armano fino ai denti con sommo disprezzo dei buoni propositi sottoscritti all’Onu. E allora diventa opportuno allungare lo sguardo“.

L’ASSENZA DI ITALIA ED EUROPA

L’eco assordante dell’immobilismo del Vecchio Continente risuona in modo ancora più forte se si guarda alle recenti mosse di Barack Obama in Irak. Seppur criticati per la troppa morbidezza con cui hanno affrontato sinora l’ascesa dei miliziani dell’Isis, ieri gli Usa hanno inviato in visita a Baghdad il segretario di Stato americano, John Kerry, che ha assicurato il sostegno di Washington e ha chiesto che si formi un governo di unità nazionale che includa anche i sunniti; mentre in queste ore, rilanciata oggi da Paolo Mastrolilli sulla Stampa, inizia a prendere corpo l’ipotesi di un intervento mirato con i droni per abbattere le basi jihadiste nel Paese guidato dal primo ministro Nuri al-Maliki.

In tutto questo, dov’è l’Europa? “Sul caos libico il Corriere ha da tempo lanciato l’allarme, e gli avvenimenti continuano a dargli ragione. La diplomazia appare impotente davanti alle milizie e ai loro ricatti energetici, alla guerra civile strisciante, alle masse di profughi provenienti da altre crisi che dalle coste libiche partono nella speranza di raggiungere l’Italia. Quanto potrà durare? E poi ci sono i depositi di armi dell’era Gheddafi: lì si riforniscono combattenti d’ogni dove, qaedisti del Sahel, massacratori delle guerre africane, contendenti siriani, terroristi ben finanziati e fanatici islamisti dell’Isis (sigla per «Stato islamico dell’Iraq e del Levante») che sta mettendo a soqquadro l’Iraq“.

UNA GUERRA CHE CI RIGUARDA

Agire a Tripoli, dunque, avrebbe secondo Venturini e molti altri osservatori quantomeno attenuato gli effetti di accelerazione e rinforzo che l’ingovernabilità del Paese libico ha sul terrorismo di matrice islamica, che si nutre anche del preoccupante fenomeno dei foreign fighter.

A ben vedere – prosegue il Corriereè proprio l’Isis il simbolo più rivelatore dei nuovi tempi. Sunniti come tutti i qaedisti ma scomunicati dalla vecchia Al Qaeda per eccesso di crudeltà (e ce ne vuole…), gli uomini dell’Isis vogliono ridisegnare quei confini che britannici e francesi imposero quasi un secolo fa con la ben nota lungimiranza delle potenze coloniali. Non soltanto per far nascere il loro Califfato, ma per affermare una dinamica eversiva e rigidamente settaria che è già la regola nella Siria che gronda sangue, che allarma già gli sciiti iraniani e ottiene invece una tacita comprensione dai sunniti sauditi. Davvero crediamo che la grande guerra inter-islamica non ci riguardi, e non riguardi il prezzo o le forniture di greggio? Che la mattanza siriana possa continuare a piacimento, che non possano saltare all’improvviso il Libano e la Giordania, che domani in Afghanistan non possa andare come oggi in Iraq, magari trascinando nella mischia anche il Pakistan e la sua atomica? E le molte centinaia, forse le migliaia di giovani europei che vanno a combattere con l’Isis e poi rientrano nei nostri tranquilli rifugi europei addestrati e fanatizzati, anonimi fino a quando decideranno di colpire?“.

MULTILATERALISMO DA GOVERNARE

Ecco perché, si legge tra le righe, diventa prioritario che Usa ed Europa agiscano come una voce sola in tutti i teatri possibili, con pari dignità politica, ma al tempo stesso con i medesimi investimenti in sicurezza e una visione di lungo periodo che contempli anche l’intervento diretto.

In Asia – sottolinea concludendo Venturini – è tutto più chiaro. La Cina superpotenza economica investe nella marina per controllare il Mar Cinese meridionale alla faccia degli americani, il Giappone si appresta a reagire, gli Stati Uniti lo fanno già. Qui gli stanziamenti militari sono ufficiali, ma non per questo inquietano di meno. E sulla marina punta anche la Russia (settecento miliardi di dollari nei prossimi vent’anni), il che aiuta forse a capire il ratto della Crimea con il porto di Sebastopoli. Eccoci tornati vicino casa. In Ucraina si spara ancora, ma l’unica cosa sicura sembra essere che servirà un riarmo dell’esercito di Kiev.
Il mondo ha il dito sul grilletto. Il multipolarismo che abbiamo voluto è diventato disordine multipolare con esplosioni regionali. Ma la violenza si muove, e proprio come l’Isis non conosce confini. Forse dovremmo aggiornare le nostre priorità, e anche le nostre politiche“.

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