Il sorriso di Mané si è finalmente aperto sullo stadio che porta il suo nome. E ha potuto intrecciare la danza da tempo rimandata con i palloni riluttanti giocati dai suoi epigoni. L’ho visto Manuel Francisco dos Santos, detto Garrincha, poeta del calcio e della vita, abbracciare gli undici carioca dopo il primo gol di Neymar che scacciava finalmente i brutti pensieri delle settimane scorse. Ed il fatto che il Brasile si sia sbloccato, dopo tanto penar, lì a Brasilia, nella capitale, dove hanno voluto dedicare a lui, all’Uccellino, il faraonico impianto sportivo, è un segno degli invocati dèi del pallone, pratica profana a cui si sono sottoposti tutti i brasiliani in questi giorni d’attesa e di ansia.
Mané ha guidato Neymar da Silva Santos Junior nell’indirizzare non soltanto i suoi tiri nella porta del volenteroso Camerun, ma nell’ispirare – proprio come faceva lui – tutte (o quasi) le manovre dei suo compagni. Dite che non è così? Ma io ci voglio credere e non è un peccato abituati come siamo a credere a ben altre cose molto più incredibili…
A ventidue anni Garrincha era già la stella del Botafogo (con il quale segnò in dodici ani ottantacinque gol giocando 236 partite); alla stessa età Neymar è andato a segno in quattro anni con il Santos 54 volte in quattro anni giocando 103 partite e quest’anno con il Barcellona ha fatto 9 gol in 26 incontri. Non è l’erede di Garrincha, ma più probabilmente di Pelé. Di Mané ricorda però le giocate impossibili e l’allegria del futebol bailado: è l’ultimo di quelli che la palla non la maltrattano, ma l’accarezzano, proprio come faceva quella strana ala destra più solo in campo di un pellegrino nel deserto. Ecco perché l’ho visto sorridere, illuminando l’avanzata verde-oro verso quel quattro a uno che se non dissolve i dubbi sulla tenuta di una squadra tutt’altro che paragonabile con quella che vinse i titoli mondiali tra il 1958 ed il 1970 (due nel segno di Garrincha, ovviamente, certamente la riconsegna al suo popolo facendolo ancora sperare.
Neymar non lo abbiamo scoperto nelle ultime ore. E’ un gigante del calcio contemporaneo. Ma dove potrà arrivare nessuno può dirlo. Cronisti con poca fantasia si lanciano in arditi paragoni con i record di Pelé e ci ricordano che il giovanotto per ora ha segnato in nazionale 35 gol, mentre ‘O rey si è fermato a…95. Lo batterà? Dovremmo aprire una lunga parentesi sui tempi, i modi, le frequenze degli incontri eccetera. Ma vi sembra normale? O que serà, canta Chico Buarque. E sarà quel che deve essere. Garrincha intanto, con i due Santos, Djalma e Nilton, e Gilmar che quest’anno lo hanno raggiunto, se la stanno ridendo. E se il loro Brasile arriverà fino in fondo allora si farà festa nel Paradiso carioca alla quale parteciperà anche l’esule in patria Moacyr Barbosa. A loro vorremmo che Neymar dedicasse l’ultimo brindisi lontano dalle telecamere.
Per scaramanzia (e carità di patria), non azzarderò pronostici sull’Italia. Una formazione in costruzione fino all’ultimo minuto non lascia ben sperare. Il miracolo comunque è possibile, oltre che auspicabile naturalmente. Dovrebbero far paura Suarez e Cavani? Ma andiamo. Non impaurivano Socrates, Falcao, Zico, Junior, Cerezo, Eder nel 1982 dovremmo aver paura di un paio di calciatori che hanno imparato a giocare in Europa ed in particolare sui nostri campi? Se gli azzurri la vincono prima psicologicamente, la partita non ha storia e ne usciranno bene. L’arma si chiama carattere. Non si compra al mercato, tantomeno a quello di Natal.