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Irak, ecco le vere mire dei guerriglieri di Allah dell’Isis

L’occupazione di Mosul e la rapida avanzata a Sud, lungo la vallata del Tigri, delle poche migliaia di jihadisti dello Stato Islamico dell’Iraq e del Levante (ISIS o ISIL) hanno causato notevole sorpresa e preoccupazione non solo in Iraq, ma anche negli USA e in tutti gli Stati mediorientali, specie in Iran, Turchia e Arabia Saudita. Sconcerto è stato provocato anche dalla rotta delle apparentemente poderose forze di sicurezza del regime di Baghdad.

COSA E’ SUCCESSO

Nelle cinque province settentrionali dell’Iraq erano schierate tre divisioni dell’Esercito e a una della Polizia federale: da 30 a 50.000 effettivi, sugli 800.000 mila di cui dispone il governo di Bagdad, equipaggiati e addestrati dagli USA prima del loro ritiro con consistenti costi (oltre 30 miliardi di dollari). La rotta delle forze governative potrebbe essere stata provocata dal fatto che erano multietniche e multiconfessionali. I soldati sunniti e quelli curdi potrebbero aver disertato; gli altri sono fuggiti. A Mosul, l’ISIS si è impossessata, oltre che di una grande quantità di armi, munizioni ed esplosivi, di 400 milioni di dollari custoditi nella banca centrale del governatorato.
Dai “guerrieri di Allah” non si sono invece lasciati impressionare i curdi del KRG (Kurdish Regional Government). I loro Peshmerga (termine che significa “coloro che sanno affrontare la morte”, che ammontano a 190.000 uomini), hanno fatto un ricco bottino di armi e munizioni nei depositi dell’esercito iracheno e hanno approfittato dell’occasione per occupare Kirkuk, rivendicata come capitale culturale dai curdi e dai turcomanni, situata in una provincia che possiede circa il 20% del petrolio iracheno. Hanno respinto gli elementi dell’ISIS che volevano impossessarsi della città.

I VERI VINCITORI

I curdi sono i veri vincitori. Il governo di Baghdad ha bisogno del loro appoggio. Sarà concesso a caro prezzo: rafforzamento dell’autonomia, riconoscimento dell’annessione di Kirkuk e, soprattutto, legittimazione delle loro esportazioni di petrolio. Il governo di Baghdad ne aveva sinora preteso il controllo centralizzato. Non aveva però rispettato l’impegno di versare al KRG il 17% degli introiti del petrolio iracheno. I curdi avevano provveduto da soli, con l’aiuto della Turchia. Qualora, come è presumibile, Baghdad continuasse ad avere bisogno dell’aiuto dei Peshmerga, il KRG potrà raddoppiare entro l’anno i suoi guadagni. Si avvarrà della riattivazione dell’oleodotto che lo collega al porto turco di Ceylan sul Mediterraneo.

LE PROSPETTIVE DELL’ISIS

Ma quali sono le prospettive dell’ISIS? Potrà proseguire la sua avanzata a Sud e occupare Baghdad? Come si modificherà la situazione geopolitica del Medio Oriente? Quali saranno le reazioni degli USA, di fronte al disastro di un regime che avevano sostenuto, per mantenere l’unità dell’Iraq e dare stabilità al paese?
L’ISIS è un gruppo di poche migliaia di combattenti, da 11 a 30.000, di cui da 3 a 5.000 sono stranieri. E’ diviso fra la Siria, dove combatte Assad, e l’Iraq, dove ha occupato all’inizio dell’anno la capitale Ramadi e il principale centro, Falluja, della provincia sunnita di Anbar, a ovest di Baghdad. Si richiama ad al-Qaeda e al suo programma (califfato, unità dell’Ummah, ecc.).

OBIETTIVI E STRATEGIE

Il suo primo obiettivo è la creazione di un emirato transfrontaliero, a cavallo del confine fra l’Iraq e la Siria. E’ tanto radicale che è stato sconfessato dal capo di al-Qaeda, al-Zawahiri, per la sua ferocia. Con le sue brutalità, nei confronti anche della popolazione civile, l’organizzazione da cui l’ISIS ha avuto origine. La medesima reazione si è prodotta in Siria dove l’ISIS è stato attaccato non solo degli insorti dell’Esercito della Siria Libera, ma anche dei jihadisti della Brigata al-Nusra, che al-Qaeda riconosce come sua unica branca siriana. I combattenti dell’ISIS sono in gran parte veterani, reduci di molti conflitti. Sono ben addestrati e fanatici. Adottano la tattica propria delle insurrezioni, evitando lo scontro diretto, ma ricorrendo allo stratagemma, alla sorpresa, a raids “colpisci e fuggi”, ad attacchi suicidi e ad attentati. La strategia e la tattica utilizzate per conquistare Mosul e muovere verso Sud sono state audaci e brillanti. Malgrado la loro rapida avanzata verso Sud e le puntate offensive da Ovest, da Falluja verso Baghdad, l’ISIS non dispone degli effettivi necessari per l’occupazione del territorio. Fa affidamento su nuovi reclutamenti dalle tribù sunnite, opposte al regime di al-Maliki, che le ha allontanate dal potere e perseguitate. Qualora l’ISIS riuscisse a mobilitare completamente gli arabi sunniti, è probabile che l’Iraq si frammenterebbe lungo linee etnico-confessionali. Non è detto però che ci riesca. Uno dei capi del “Risveglio Sunnita” o Sahwa ha dichiarato che appoggerà il governo di Baghdad e l’unità dell’Iraq. La popolazione di Mosul ha accolto freddamente l’ISIS; oltre mezzo milione di suoi abitanti – un quarto del totale – è fuggito. Le forze governative rimaste sono costituite soprattutto da sciiti e sono appoggiate dalle milizie sciite, che al-Maliki aveva sciolto, perché facevano capo ai suoi avversari politici sciiti come al-Haqim e Moqtada al-Sadr.

L’AIUTO DELLA COMUNITA’ INTERNAZIONALE

Il governo di Baghdad ha invocato l’aiuto della comunità internazionale, in particolare degli USA e dell’Iran. Sarebbe uno scherzo della storia che gli americani, alleati con gli iraniani, combattessero a favore degli sciiti iracheni. Washington è furiosa con al-Maliki. Il premier iracheno, ormai al potere dal 2007, ha cercato di monopolizzarlo a favore della maggioranza sciita e suo personale. Inefficienza e corruzione sono dilaganti, anche nelle forze di sicurezza. La loro rotta nel Nord del paese, in cui sono fuggite senza combattere, gettando le uniformi e abbandonando le armi, non è indicativa del fatto che non possano riconquistare il territorio perduto. Ormai stanno affluendo in Iraq a loro sostegno elementi scelti del Corpo delle Guardie della Rivoluzione Islamica. Teheran lo ha apertamente riconosciuto. Ciò mette in difficoltà gli Stati del Golfo, che temono l’ISIS per il suo programma panislamista, ma soprattutto il rafforzamento dell’Iran e, ancor più, un’intesa fra Washington e Teheran. Certamente, l’ISIS non è una carta su cui puntare. L’Arabia Saudita si sente presa fra due fuochi: a Nord, l’ISIS; a Sud l’AQAP (al-Qaeda in the Arabis Peninsula), particolarmente attiva nello Yemen.

COSA FARA’ OBAMA

Obama è indeciso. Vuole prendere tempo. E’ stato sorpreso dai travolgenti successi dell’ISIS. Ha dichiarato che sta studiando varie opzioni, escludendo solo l’intervento di truppe terrestri. Senza di esse, l’ISIS ha ben poco da preoccuparsi. Il vero pericolo è che intervengano massicciamente i Peshmerga. Taluni componenti dell’Amministrazione americana hanno detto che ogni aiuto vada subordinato all’allontanamento di al-Maliki dal potere e alla sua sostituzione con personalità che promuovano una riconciliazione nazionale. Quest’ultima, mi sembra difficile. Molto più verosimilmente si giungerà a una soluzione di tipo bosniaco, con un’unità solo formale fra le tre comunità principali – sciita, sunnita e curda – del paese.
Un intervento USA potrebbe suscitare la reazione anti-occidentale in molti paesi islamici. Una conseguenza simile avrebbe un massiccio intervento iraniano, a favore dei confratelli sciiti iracheni. Esso sarebbe certamente efficace nel respingere l’ISIS. Accentuerebbe però il carattere confessionale dello scontro e potrebbe provocare una reazione pro-ISIS non solo della comunità sunnita irachena, ma anche degli Stati del Golfo e della sunnita Turchia. Ankara ha sempre avuto ben poca simpatia per al-Maliki. In passato aveva concesso protezione a personalità sunnite irachene perseguitate dal regime sciita.

I RIFLESSI SUL CONFLITTO IN SIRIA

Insomma, la situazione è complessa, confusa e incerta. I suoi riflessi sul conflitto in Siria sono di segno opposto. Da un lato, l’ISIS dovrà destinare all’Iraq un’aliquota maggiore delle sue forze, favorendo così Assad. Dall’altro, si è fortemente rafforzata, saccheggiando gli arsenali iracheni. I suoi successi in Iraq potrebbero stimolare i reclutamenti. Potrebbero anche indurre ricchi esponenti della comunità sunnita a continuare a finanziarlo, malgrado gli inviti fatti dai loro governi di non farlo.
I successi dell’ISIS in Iraq segnano un’ulteriore svolta nella geopolitica del Medio Oriente: due degli Stati centrali della regione – la Siria e l’Iraq – sono sull’orlo della frammentazione e del collasso. Domina l’incertezza, sebbene essa abbia per ora avuto effetti solo marginali sul prezzo del petrolio.

 

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