A Milano nella Gioielleria Belloni un ragazzo sui 30 anni sceglie un diamante da regalare alla sua fidanzata. Viene da Parma. Perché fa quasi 200 chilometri per comprare qualcosa che troverebbe sicuramente a due passi da casa? Perché Belloni è l’unico gioielliere in Italia ad avere diamanti etici. Sembra impossibile, eppure, dice Francesco Belloni, è così. «I gioiellieri sono piuttosto conservatori e cambiare metodo di fornitura non è semplice – aggiunge -. E poi, dopo il grande ma breve clamore suscitato dal film Blood Diamonds uscito nel 2006, ormai del problema della provenienza dei minerali non si parla praticamente più».
Non se ne parlerà più, eppure i consumatori sono ancora sensibili alla questione. «Ho dato un’offerta a una domanda che esisteva già – dice ancora Belloni -. Nel mio negozio arrivano clienti da diverse parti del Paese, senza contare le spedizioni online, che per ovvie ragioni riguardano gioielli meno importanti».
La sensibilità di Francesco Belloni («Anche io sarei stato un consumatore di questi prodotti», spiega) è precedente al clamore del film. Nel 2004 Belloni decide di donare una percentuale degli incassi derivanti dalla vendite dei diamanti a una organizzazione non profit che difende i popoli tribali, la quale rifiuta gentilmente perché sono proprio le compagnie diamantifere a minacciare le popolazioni. «Ero a conoscenza del problema, se ne parlava – ricorda – . Così ho deciso di informarmi e ho scoperto che in Canada, nei territori del Nordovest, esistevano due miniere indipendenti (Diavik ed Ekati) che non vendevano nel mercato monopolizzato della De Beers e che si basano su tre principi: la sicurezza dei lavoratori, il rapporto rispettoso delle popolazioni locali e un alto grado di responsabilità ambientale. I diamanti sono etici perché sono certificato all’origine».
Tre le garanzie. La prima ne certifica l’origine, attraverso un numero di serie e un logo (il Canadamark) e la “foglia d’acero” simbolo del Canada, incisi al laser sulla pietra stessa. Di nessun diamante al mondo si conosceva, finora, la provenienza. La seconda attesta che tutta la filiera, dall’estrazione alla vendita, aderisce al Canadian Diamond Code of Conduct, un codice di condotta stipulato dal governo canadese che deve essere obbligatoriamente rispettato sia da chi estrae sia da chi vende le pietre. La terza (comune anche agli altri diamanti) ne certifica purezza, peso e colore.
«L’altro giorno – riprende l’imprenditore – un cliente mi ha detto: “Ho saputo che alla miniera di Ekati c’è uno sciopero. Bene. Vuol dire che hanno il diritto di scioperare…”. Anche questo mi ha fatto riflettere».
I diamanti etici non costano di più di quelli acquistati sul mercato mondiale, l’oro etico invece sì (circa il 25 in più), perché arriva puro e deve essere lavorato a livello artigianale e l’approvvigionamento è limitato. Da dove viene? «Lo acquisto da cooperative minerarie presenti in diversi Stati dell’America Latina (Colombia, Perù e Bolivia), che sono certificate dall’Alliance for Responsible Mining, che si occupa di verificare che vengano rispettati i criteri di equosostenibilità dei bacini estrattivi cogestiti dai minatori stessi». Un esempio di queste miniere è “Aurelsa”.
Da marzo Belloni è stato inserito nella filiera Fairmined e ha un suo codice ID “IT 11001”. Il numero “1” finale significa che è il primo (e finora unico) in Italia.