Il genio è l’ultima risorsa di una squadra confusa e svogliata. E quando si manifesta la vittoria è assicurata. Si può penare per novanta minuti senza trovare la via del gol, ma quando si ha un Messi a disposizione, per quanto non particolarmente ispirato, tutto diventa più semplice. E non c’è merito che tenga: gli avversari, per quanto superiori tatticamente e atleticamente, sono destinati a soccombere. È un’antica regola del calcio (e non solo). L’abbiamo vista confermata dal guizzo finale del fenomeno argentino che con una sola giocata, a tempo scaduto, ha mandato l’Iran all’Inferno e la Seleccion in Paradiso.
La formazione di Carlos Quiroz meritava abbondantemente di vincere, mentre i palloni gonfiati (anzi sgonfiati) albiceleste, a parte l’immenso portiere Romero (scartato dalla Sampdoria e panchinaro nel Monaco, pensate un po’ quali sono le logiche che governavano il calcio contemporaneo…), se ne sarebbero dovuti tornare alle loro occupazioni milionarie nei confortevoli club europei che li strapagano quando potrebbero impiegare risorse per rivitalizzare i vivai e costruire le nazionali di domani: ma non sono troppi gli stranieri in Italia ed in Europa? È chiaro che poi fanno i fenomeni quando indossano le casacche delle loro rappresentative e i nostri fanno figure meschine. È forse il caso di porselo finalmente il problema.
Intanto Messi ha dimostrato che si può se non giocare da soli, almeno da soli si può vincere. Come Klose, al suo quarto Mondiale, al pari di Pelé e Seeler, che parimenti da solo, praticamente, ha risolto la partita contro il Ghana, superiore come lo è stato l’Iran all’Argentina, la Costarica all’Italia. Ed anche quelle che impropriamente venivano snobbate, come Costa d’Avorio, Ecuador, Honduras e Giappone, a prescindere dai risultati, hanno fatto vedere un buon calcio, per non parlare degli Stati Uniti che “rischia” di passare il turno. A dimostrazione che le “invincibili” di un tempo – Spagna, Inghilterra, Italia su tutte, ma tra le blasonate mettiamoci, anche il Portogallo e la zoppicante Germania, oltre all’enigmatico Brasile – stanno aprendo autostrade al calcio “giovane”, nel senso di nazioni che seppure da qualche tempo, sono sempre più decise a conquistare la ribalta.
Non sarà per questa volta, ma squadre come Nigeria, Ghana, Algeria, Camerun (già promessa una ventina d’anni fa) e le nuove sudamericane, senza considerare le asiatiche delle quali, pur tra molte difficoltà, l’Iran è di certo la più quotata potenzialmente, punteranno decisamente verso affermazioni più rotonde.
Come si spiega? È la teoria del declino che anche nel calcio vale. I “popoli giovani” hanno fame. E divorano gli avversari apprendendo da loro tecniche e furbizie. Diamogli il tempo di organizzarsi (pensate: gli iraniani non hanno potuto disputare una sola amichevole prima del mondiale e ai giocatori è proibito scambiarsi le magliette con gli avversari per ragioni di bilancio…) e le gerarchie calcistiche cambieranno.
Se accadrà, forse rivedremo spettacoli degni di nota piuttosto che sciagurate e noiose cavalcate nel nulla come quelle a cui abbiamo assistito in questo curioso Mondiale brasiliano.