Nonostante l’Italia possa contare su ampi giacimenti di petrolio, questi continuano a rimanere non sfruttati. Gli effetti, facilmente prevedibili, portano ad un’alta dipendenza energetica del nostro Paese dall’estero e ad un costo elevato per imprese e consumatori.
La ragione di questo immobilismo risiede spesso nell’opposizione delle comunità locali e degli stessi amministratori, preoccupati per le proteste.
Problemi ai quali il governo Renzi vorrebbe ovviare con un provvedimento sulle attività di estrazione a mare attualmente in discussione ed approvazione presso i due rami del Parlamento.
Permangono i malumori e gli allarmi di alcune forze politiche presenti nell’emiciclo, che sono però messi in discussione da un report, redatto da addetti ai lavori, che circola in Parlamento. Nel testo vengono smontate punto per punto, dati alla mano, alcune delle critiche affermazioni più ricorrenti nelle proposte di legge “antagonistiche” e “veteroambientaliste” in Parlamento e relative al settore oil&gas, con particolare attenzione all’off-shore.
Ad esempio: è vero che nel nostro Paese, il numero delle piattaforme di estrazione di idrocarburi al largo delle coste è notevolmente cresciuto nel corso degli ultimi anni, arrivando ad interessare aree marine già sottoposte ad un forte stress ambientale?
Secondo il report, assolutamente no. Infatti, si legge nel testo (sotto il grafico), “nel corso degli ultimi anni si è consolidata la tendenza, iniziata nella seconda metà degli anni ‘90, alla riduzione del numero di titoli minerari e della superficie totale da essi occupata“. Mentre nei primi anni ‘90 erano attivi oltre 80 permessi di ricerca in mare, al 31 dicembre 2012 sono vigenti 25 permessi di ricerca per un totale di 7.252 kmq di area occupata. È invece “rimasto costante il numero di concessioni di coltivazione“; al 31 dicembre 2012 sono vigenti 67 concessioni per un totale di 8.940 kmq di area occupata.
Inoltre, “l’attività di ricerca di nuovi giacimenti in mare ha visto il suo massimo periodo di espansione nei primi anni 90 con una media di circa 80 nuovi pozzi perforati all’anno dei quali una buona parte di tipo esplorativo“.
Ciò significa che dalla seconda metà degli anni 90 il numero di nuove perforazioni in mare è andato gradualmente a ridursi e nell’ultimo decennio si è assistito ad una progressiva diminuzione dell’attività di ricerca di nuovi giacimenti.
L’attività degli operatori – prosegue – “è ormai quasi esclusivamente orientata alla ottimizzazione e allo sviluppo dei giacimenti noti piuttosto che alla ricerca di nuove risorse. In particolare dal 2008 al 2012 sono stati effettuati in media 15-20 nuovi pozzi all’anno, nessuno dei quali però di tipo esplorativo“.
Anche dal punto di vista dei ritrovamenti l’ultimo decennio “è risultato poco incoraggiante con soli 11 pozzi esplorativi con esito positivo a gas” e con il solo pozzo “Ombrina Mare 2 dir” con esito positivo ad olio.
Nel corso dell’anno 2012 – conclude il dossier – l’attività di perforazione in mare ha interessato 15 postazioni. Di queste, 4 perforazioni sono relative ad attività di sviluppo e le restanti 11 sono workover su pozzi esistenti. Nel corso dell’anno non è stato effettuato nessun nuovo pozzo esplorativo”.