Complice la crisi ucraina che rischia di mescolare le carte dell’approvvigionamento energetico europeo, l’Italia si trova a fare i conti con nodi irrisolti e nuove problematiche, come il passo indietro di Bruxelles sul gasdotto South Stream, nella realizzazione del quale svolge una parte importante il colosso italiano degli idrocarburi, Eni.
SOUTH STREAM A RISCHIO?
L’annuncio – spiega Luca Pagni – potrebbe essere imminente. La ragione? “L’accordo con l’Ucraina – si legge su Repubblica – è fondamentale per garantire una tregua politica tra i due Paesi, ma anche per assicurare la continuità delle forniture all’Occidente, visto che da Kiev passa più della metà del metano russo destinato all’Eurozona. La quale dipende per il 35% del fabbisogno annuale dai contratti con il colosso Gazprom, controllato direttamente dal Cremlino. Una dipendenza da cui Bruxelles si vorrebbe sganciare (anche su pressione degli Usa)“, puntando su un vecchio progetto, Nabucco.
ITALIA DANNEGGIATA
Ciò, tuttavia, prosegue il quotidiano diretto da Ezio Mauro, potrebbe danneggiare imprese controllate dai governi di Stati membri della Ue. “Del consorzio South Stream guidato dalla società del Cremlino, hanno quote del 20% anche l’italiana Eni e la francese Edf… Per non dire che è stata Saipem, leader nella costruzione di infrastrutture petrolifere e controllata da Eni, ad aggiudicarsi per 2,4 miliardi il primo lotto dei lavori per la posa sul fondo del Mar Nero di una linea del gasdotto“.
La questione ucraina non è marginale per l’Italia, che copre circa il 30-35% del proprio fabbisogno dal gas che dalla Russia passa per Kiev e raggiunge il territorio italiano. Da qui la necessità di diversificare fonti e infrastrutture come si sta già facendo con Tap (la pipeline che trasporterà l’oro blu dall’Azerbaijan all’Italia approdando in Puglia).
I RAPPORTI TRA RUSSIA E CINA
Le tensioni energetiche tra Russia ed Europa hanno come riflesso un avvicinamento tra Mosca e Pechino, che hanno da poco siglato un accordo atteso da un decennio per la fornitura trentennale di gas della Federazione alla Repubblica popolare cinese. Una prospettiva che preoccupa Bruxelles e Roma, timorose di perdere poco la volta le forniture di gas assicurate dal Cremlino.
RISORSE NON SFRUTTATE
Eppure, sottolineano esperti e politici, l’Italia avrebbe in mano l’asso per svincolarsi dal cappio russo. La Penisola, scrisse l’ex presidente del Consiglio Romano Prodi, che in un editoriale pubblicato sul Messaggero, è “al primo posto per riserve di petrolio in Europa, esclusi i grandi produttori del Mare del Nord (Norvegia e UK). Nel gas ci attestiamo in quarta posizione per riserve e solo in sesta per produzione”.
CONIUGARE AMBIENTE E PROFITTO
Risorse non sfruttate finora, ma che il governo Renzi vorrebbe provare a sbloccare con un provvedimento sulle attività di estrazione a mare attualmente in discussione ed approvazione presso i due rami del Parlamento. Al percorso ha preso parte anche il ministro dell’Ambiente Gianluca Galletti (“Il mio – ha detto in una recente intervista al Quotidiano Nazionale – non è il ministero del ‘no’, dei veti a prescindere. È il ministero dello sviluppo sostenibile“).
L’OPINIONE DEL MINISTRO GUIDI
A non avere dubbi sulla necessità di sfruttare in modo maggiore e in sicurezza le risorse energetiche dell’Italia è il ministro dello Sviluppo economico, Federica Guidi che ha spiegato: “Abbiamo disciplinato dove è possibile intervenire e dove no – spiega il ministro – tutto questo in attesa del recepimento della direttiva europea del 2013 sulla sicurezza delle operazioni in mare nel settore degli idrocarburi. Questo perché come Italia dobbiamo pretendere il massimo livello di sicurezza ambientale”, ma, aggiunge, dobbiamo anche procedere. “Abbiamo industrie italiane che ne sarebbero valorizzate. Non possiamo sottovalutare questo aspetto. Credo che insieme al ministro dell’Ambiente possiamo arrivare rapidamente al recepimento per evitare che questa moratoria ci faccia perdere ulteriori opportunità. Dato che tutto il mondo lo fa, non capisco perché dovremmo precluderci la possibilità di utilizzare queste risorse, pur mettendo la tutela dell’ambiente e della salute al primo posto”.
I VETI
Un approccio pragmatico, che però si scontra con i malumori di alcune forze politiche presenti Parlamento e soprattutto degli amministratori locali, preoccupati della sindrome Nimby e delle proteste ormai automatiche che si verificano alla realizzazione di ogni nuovo produttivo. Proprio nell’Adriatico è esemplare il progetto della piattaforma petrolifera Ombrina Mare, che Medoilgas Italia sta sviluppando al largo delle coste abruzzesi, ma che non riesce a concludere a causa di veti incrociati.
IL REPORT IN PARLAMENTO
La correlazione tra inquinamento di terreni e acque e attività di estrazione di idrocarburi è messa però in discussione da un report, redatto da addetti ai lavori, che circola in Parlamento. Il documento affronta alcune delle affermazioni più ricorrenti relative al settore oil&gas, con particolare attenzione all’off-shore. La produzione di idrocarburi è un processo altamente inquinante? Secondo il report i costi esterni ambientali calcolati da ECBA Project in relazione alle emissioni in atmosfera dell’economia nazionale nel 2012 ammontano a 48,3 miliardi di euro. Di questi solo una minima parte è riconducibile alla produzione di idrocarburi. E ancora: quanto è alta la presenza di idrocarburi nel mare imputabile al petrolio? Appena del 2% – si legge nel testo – e non dell’80% come si afferma comunemente.
Luoghi comuni che secondo il dossier non troverebbero riscontro scientifico, documentale, accademico o statistico.