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I veri goal dell’Iran. Il taccuino mundial (non solo sportivo) di Malgieri

“Le Malvinas sono argentine”. Uno striscione ce lo ha ricordato. Non tutti sono d’accordo. Tutti, invece, convengono sul fatto che l’Argentina non ha espugnato il Maracanà. E chissà se ci arriverà il 13 luglio.

Con la squadra che si ritrova potrebbe vincere contro chiunque  e dovunque. Ma a condizione che sia messa bene in campo e produca un gioco coerente con le ambizioni. I balbettii del primo tempo hanno evidenziato i limiti di una formazione che il commissario tecnico Sabella non ha saputo plasmare.

Con il potenziale che si ritrova avrebbe potuto mandare in campo una squadra stellare: ha creduto che la Bosnia potesse essere domata con qualche colpo di genio estemporaneo ed un po’ di fortuna. L’autorete di Kolasinac dopo soli tre minuti deve averglielo confermato. Poi i bosniaci, perfino sottotono come Dzeko e Pjanic, si sono incaricati di svegliare l’allenatore della Seleccion dal suo sonno dogmatico e ricordargli che in panchina, ad ammuffire, teneva gente come Gonzalo Higuain in grado di sopperire alla malinconica ed evanescente presenza di Aguero e Di Maria spompati oltre ogni pur prevedibile immaginazione visti i campionati che hanno disputato.

Higuain è stato l’ispiratore di un Messi improvvisamente ritrovato il cui lampo ha parzialmente riscattato la non brillante performance dell’Argentina, mentre i bosniaci, al debutto mondiale, potevano dirsi paghi di aver ingabbiato i blasonati avversari e sperare di cogliere successi tutt’altro che impossibili contro l’Iran e la Nigeria, un tempo quest’ultima “padrona”, insieme con il Camerun, del calcio africano.

L’Argentina non gioca bene, ma vince comunque. Un buon viatico in vista dell’incontro con la rappresentanza degli ayatollah. Questi aspirerebbero a mettere qualche pallone nella rete di Romero, portiere di valore che presto abbandonò i pali della Sampdoria, tanto per onorare l’impegno mondiale a cui sono arrivati con merito indiscusso. I loro “superiori” di Teheran cercano, come al solito, nel calcio improbabili pretesti politici per sentirsi protagonisti mondiali. Hassan Rohuani, il finto riformatore eletto presidente, e mullah vari attendono lo “scontro” con l’Argentina per regolare qualche conto in sospeso, mentre la gente comune prenota posti nei cinema per tifare (con moderazione, ovviamente) per la nazionale. Posti riservati a uomini e donne rigorosamente separati da invalicabili “guardiani” che vegliano sulla possibile  promiscuità e sulle tentazioni indotte dalla debolezza della carne che pure in quel contesto reclama le sue ragioni, come mi disse anni fa una splendida signora di Teheran sorseggiando un tè mentre fuori dell’albergo nevicava e la polizia religiosa non aveva nessuna voglia di interrompere innocenti conversari nella hall per verificare la privata moralità della cittadina iraniana e dello scosciato occidentale. Ma anche nei mercati, nei parchi, negli affollati condomini il sostegno alla squadra deve essere sobrio, secondo i precetti degli sciiti che certo non hanno mai letto una sura del Corano dedicata al football…

Ma se, per avventura, l’impresa della nazionale iraniana contro l’Argentina dovesse riuscire (fosse pure un pareggio) ve l’immaginate il delirio organizzato dal regime komeinista? A Teheran si parla di conti in sospeso. Il calcio potrebbe regolarli anche se allo stato nessuno ci crede. Ricordiamoli.

Nel 1992 e nel 1994 gli iraniani si resero responsabili dei due più feroci e sanguinosi attentati terroristici in Argentina. Il primo fu un attacco suicida all’ambasciata israeliana a Buenos Aires che fece 29 morti e 242 feriti. In seguito al crimine venne arrestato in Germania l’ex-direttore dell’Istituto di cultura iraniano in Argentina e sette diplomatici vennero espulsi. Due anni dopo un furgone imbottito di tritolo provocò il crollo del palazzo che nella capitale argentina ospitava l’Associazione per la mutualità israeliana: 85 morti. Nel 2006 i giudici accusarono formalmente dell’attentato il governo iraniano dell’attacco ordito per ritorsione contro la sospensione del dialogo sul nucleare da parte dell’Argentina.

Con queste premesse, a Teheran non interessano molto i mondiali di calcio e le autorità hanno fatto di tutto per limitare il significato della partecipazione della loro nazionale. Carlos Queiros che l’allena tra mille difficoltà, può contare soprattutto sugli “inglesi” Reza Ghoochannejhad che gioca nel Charlton e su Asken Dejagan del Fulham. Poi si affida alla sorte che contro Messi e compagni non basta di certo.

Quando il calcio incontra la politica c’è sempre da temere. Ma gli iraniani che scenderanno in campo tengono più a dribblare gli avversari che il regime dal quale, se vogliono, come è accaduto in passato, possono sempre allontanarsi. Con il dolore degli esuli e le preoccupazioni per i cari che restano nella tormentata, incantevole, amabile Persia.


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