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Benvenuta Maturità, inflazionata e degradata

Grazie all’autorizzazione del gruppo Class editori pubblichiamo il commento di Gianfranco Morra apparso su Italia Oggi, il quotidiano diretto da Pierluigi Magnaschi.

Semper idem: è ricomincia il logoro e stanco rito degli esami, un tempo di maturità, ora di Stato. Una liturgia del tutto spompata e inutile, che continua solo per inerzia. Nel 1923, quando la inventò Giovanni Gentile, aveva un senso: riguardava quel 25% di giovani, che frequentava i licei, allora unica via di accesso all’università; ci furono ventimila maturandi, di cui il 60% promosso. Oggi l’esame vale per tutti tipi di scuola secondaria superiore e interessa mezzo milione di giovani. Il 99 % dei quali sarà promosso. C’è da pensare che non serva molto.

TUTTE LE LEGGINE SUGLI ESAMI

Era naturale che i mutamenti radicali del Novecento dovessero cambiare l’organizzazione scolastica e gli esami. Ma non fu fatto con un disegno coerente e fondato, ma solo con una serie di leggine parziali, con le quali i ministri della Pubblica istruzione (forse il dicastero che ha avuto il maggior numero di “mostri”) davano risposte solo alle richieste sindacali e politiche, ogni volta peggiorando la situazione. Allo scoppio della rivolta studentesca, Sullo facilitò l’esame (due scritti e due orali, uno dei quali scelto dal candidato, solo sul programma dell’ultimo anno) e legalizzò le assemblee studentesche in orario scolastico; Malfatti coinvolse nelle decisioni pedagogiche le famiglie; la Falcucci cancellò le scuole differenziali per handicappati e creò gravissimi problemi a quelle normali; D’Onofrio eliminò gli esami di settembre e inventò i corsi di recupero; Luigi Berlinguer, forse consapevole che la maturità non c’era quasi mai, introdusse la denominazione “esami di Stato” e, sapendo che i presidi non contavano più molto, li titolò «dirigenti scolastici»; con lui gli esaminatori interni divennero la metà; più materna la Moratti: solo esaminatori interni, come esterno basta il presidente (un risparmio economico).

NESSUNA RIFORMA

Un itinerario balordo e distruttivo. Gentile aveva riformato unitariamente la scuola, in riferimento ad una filosofia e ad un tipo di società. Occorreva renderla adeguata a tempi così mutati, ma nessuna riforma è stata fatta, solo dei mutamenti parziali e cervellotici. Che pesarono soprattutto sulla classe degli insegnanti. Da sempre erano malpagati, ma almeno erano rispettati. Oggi sono alla mercé di tutti: dei politici e dei sindacalisti, delle famiglie e degli studenti, dei bidelli divenuti «non docenti», e degli studenti, che ora danno loro il voto.

IL CLASSISMO CONTRO LE INSEGNANTI

In una scuola dove il ceto insegnante era soprattutto femminile, hanno trionfato le idee distruttive di un prete risentito e misogino con Don Milani, con la sua Lettera ad una professoressa (1967), forma di esasperato classismo contro le «vestali della classe media». Le quali ne sono state succube a tal punto, da farsi nascere complessi di colpa e crisi di coscienza. Dai quali molte si sono liberate abbracciando la causa del femminismo esasperato, dell’anticapitalismo di maniera e del comodo terzomondismo.

LAUREATI-DISOCCUPATI

Queste riformine mal fatte, del resto, hanno creato gravi problemi circa il rapporto tra l’esame sostenuto e l’ammissione alla università. Un tempo riservata solo ai liceali, venne liberalizzata da Sullo nel 1969, cioè aperta a tutti i tipi di scuola media superiore. Ne derivò un aumento spropositato degli iscritti e, di conseguenza, dei docenti, in gran parte divenuti «baroni» senza controlli o concorsi. Tanto che oggi il numero dei laureati disoccupati è in continuo aumento, insieme con le fughe dei cervelli. E l’età media dei docenti universitari è spropositatamente alta.

LA CILIEGINA DELLA DEMENZA

Tanto che molte università, soprattutto per le lauree mediche e tecnologiche, hanno introdotto il numero chiuso. Purtroppo attraverso prove a quiz, che sono quasi sempre di immaturità, spesso con test imprecisi ed erronei. Fare svolgere queste prove durante l’ultimo anno delle medie, mentre i giovani sono impegnati a studiare per l’esame finale, è stata la ciliegina della demenza (la ministra Giannini ha riconosciuto l’errore). In altri paesi europei, come la Francia e la Germania, il Baccalaureat (Bac) o l’ Abitur valgono per l’iscrizione alle facoltà universitarie. Noi, al posto di una, abbiamo due prove, entrambe inefficienti e controproducenti.

Ancora maturità: conservata e cambiata, allargata e aggiustata, adattata e manipolata, inflazionata e degradata. Tutto cominciò con la legge dell’irpino Fiorentino Sullo, che doveva durare due anni ed è rimasta valida per quarantacinque. È il nostro costume, come aveva osservato nel 1956 quella malalingua di Ennio Flaiano: «In Italia nulla è più definitivo del provvisorio» (Diario notturno).

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