La malattia di Alzheimer, è la forma più comune di demenza degenerativa. Si stima che affligga circa il 30% dei soggetti con più di 85 anni. Una percentuale che ci fa capire come questa sia una malattia che interessa molte famiglie e che, purtroppo, interesserà molti di noi in prima persona. Una patologia tipica delle società moderne caratterizzate da progressivo aumento dell’età media e dell’aspettativa di vita. In prospettiva diventerà uno degli oneri con maggior impatto economico per i sistemi sanitari nazionali dell’intero pianeta.
Ma la ricerca sull’Alzheimer e sulle demenze in genere è poco finanziata. Così ancora oggi abbiamo conoscenze limitate riguardo alla causa di questa malattia e non esistono farmaci in grado di curarla o bloccarne il decorso. Sappiamo che solo il 5% dei casi di Alzheimer ha una base genetica familiare. Dallo studio di questi pazienti è stato possibile identificare un gruppo di geni con un ruolo chiave nella malattia.
Una delle caratteristiche del morbo di Alzheimer è la formazione di depositi proteici nel cervello che portano alla morte dei neuroni. La ricerca in questi anni si è focalizzata sui depositi di “beta amiloide”, un frammento di proteina, per cercare di sviluppare nuovi farmaci in grado di bloccarne la formazione e, conseguentemente, rallentare il decorso della malattia. Sfortunatamente i risultati ottenuti fino ad oggi non sono promettenti.
Un editoriale pubblicato sull’ultimo di Nature (Alzheimer’s disease: The forgetting gene) discute la nascente attenzione nei confronti della principale causa genetica della malattia: l’apolipoproteina E (ApoE). La relazione tra ApoE e l’Alzheimer è stata scoperta nel 1991 dal gruppo di Allen Roses della Duke University in Durham, North Carolina. Tuttavia, dato che la proteina codificata dal gene è coinvolta nel trasporto del colesterolo nel sangue, è difficile capire quale sia il suo ruolo nell’insorgenza dell’Alzheimer. Proprio per questo in questi anni è stata poca l’attenzione su ApoE e Roses non è riuscito a procurarsi finanziamenti per portare avanti i suoi studi. Perché per fare ricerca è necessario convincere gli enti finanziatori che la ricerca ha un potenziale valore conoscitivo e applicativo.
Esistono tre forme del gene ApoE dette variante 2, 3 e 4. Solo ApoE4 aumenta il rischio di sviluppare la malattia. Una persona con una sola copia del gene ApoE4 ha 4 volte più probabilità di sviluppare Alzheimer. Se entrambe le copie geniche sono AopE4 la probabilità sale a 12 volte. Recentemente i ricercatori stanno sviluppando farmaci che attaccano ApoE. Questi studi stanno attirando l’attenzione delle industrie farmaceutiche che, dopo anni di insuccessi, non sono più interessate ad investire sulla beta amiloide.
Secondo Zaven Khachaturian, presidente della campagna “Prevent Alzheimer’s Disease 2020” e precedentemente coordinatore delle ricerche sull’Alzheimer al NIH, l’ipotesi che i depositi di beta amiloide fossero alla base del morbo di Alzheimer ha riscosso così tanto successo che è stata da molti accettata quasi come un atto di fede piuttosto che sulla base di evidenze sperimentali. E la maggior parte dei finanziamenti sono andati a progetti di ricerca in linea con l’ipotesi. Ma come dice Roses le placche di beta amiloide potrebbero essere un effetto della malattia piuttosto che la causa. E questo potrebbe spiegare gli insuccessi che hanno segnato gli ultimi 20 anni di sviluppo di farmaci tesi a prevenire la formazione di queste placche.
Le sofisticate tecniche di imaging attualmente in uso hanno permesso di evidenziare che il cervello delle persone con una predisposizione genetica a sviluppare Alzheimer è già alterato molti anni prima di sviluppare la malattia e molto prima che si verifichino accumuli di beta-amiloide. Proprio questo è alla base della rinnovata attenzione verso nuovi bersagli come ApoE.
Studi recenti suggeriscono che il coinvolgimento di ApoE4 sia dovuto agli effetti negativi che questa proteina ha sulla funzione dei mitocondri, ovvero le centrali energetiche delle cellule. Sono allo studio farmaci in grado di inibire questa attività indesiderata di ApoE4. L’idea è che, come in altre malattie neurodegenerative tipo Parkinson, il cattivo funzionamento dei mitocondri sia la causa della degenerazione delle cellule nervose che si verifica nell’Alzheimer.
Tra i farmaci che Roses sta vagliando ce ne è uno attualmente utilizzato per la cura del diabete di tipo 2. Studi su modelli animali e su piccoli gruppi di pazienti a rischio di sviluppare la malattia suggeriscono che il farmaco possa prevenire o ritardare i sintomi dell’Alzheimer.
In Italia il progetto “Invecchiamento” del CNR lanciato due anni fa sta finanziando una serie di gruppi di ricerca coinvolti nello studio dei meccanismi genetici e molecolari alla base di questa malattia neurodegenerativa con l’obiettivo di identificare nuovi marcatori per la diagnosi precoce e nuovi bersagli per farmaci innovativi.
Nuove prospettive per la malattia di Alzheimer
Di