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Orlando e Vietti duellano con Cerasa e Sottile sulla responsabilità civile delle toghe

Emancipare la politica progressista dai vincoli culturali che ostacolano una sua maturazione riformista. È l’obiettivo che anima il libro “Le catene della sinistra”, scritto dal giornalista del Foglio Claudio Cerasa e presentato ieri sera al Palazzo delle Esposizioni di Roma, dopo il primo evento a Open Colonna (QUI RESOCONTO E FOTO DI PIZZI).

Rompere l’egemonia giustizialista

Una delle catene più robuste e resistenti è rappresentata per lo scrittore dal tabù della giustizia. O meglio dall’appiattimento del PCI-PDS-DS poi Partito democratico sulle tesi giustizialiste portate avanti dalla magistratura associata e dai suoi fiancheggiatori politici.

Fenomeno che “trova le proprie radici nell’intervista con cui Enrico Berlinguer evocò la “questione morale”, trasformatasi nel tempo in moralismo. Per cui nell’arco di trent’anni le grandi emergenze nazionali – terrorismo, criminalità mafiosa, corruzione – sono state affidate all’intervento investigativo e repressivo dei giudici anziché ai provvedimenti preventivi delle istituzioni rappresentative.

Le reazioni furibonde sulla responsabilità civile

E ogni tentativo di innovare il pianeta giustizia – il progetto del governo Renzi approderà in Consiglio dei Ministri il 27 giugno – si è arenato puntualmente sui diktat della Procura di Milano e di Antonio Di Pietro, nonché sulla paura recondita di favorire gli interessi di Silvio Berlusconi.

La manifestazione più recente di tale meccanismo risale alle reazioni furibonde che il mondo progressista e l’ANM hanno riservato al voto segreto con cui l’Aula di Montecitorio ha approvato l’introduzione del principio della responsabilità civile diretta delle toghe, responsabili di ingiustizie a danno dei cittadini per comportamento doloso, colpa grave, palese violazione delle regole comunitarie.

L’alleanza che ha portato alla bancarotta della giustizia

Punto culminante, spiega il vice-direttore del Foglio Giuseppe Sottile – responsabile dell’inserto culturale del sabato del quotidiano diretto da Giuliano Ferrara – di una lunga stagione di egemonia dei magistrati sulle scelte politiche, e di una malsana alleanza tra progressisti e potere giudiziario che ha annacquato l’originario spirito riformista della sinistra e neutralizzato la garanzia dei diritti inalienabili.

Tutti i tentativi di innovazione sono stati respinti al grido dell’attentato all’autonomia e indipendenza delle toghe, e in nome della sacralità dell’obbligatorietà dell’azione penale che copre una discrezionalità de facto.

Il risultato, osserva il giornalista, è lo stato di bancarotta che accomuna la giustizia civile, penale, amministrativa. Oltre alle faide e guerre di potere che avvelenano da tempo le Procure di Milano e Palermo, “così lontana dai miti dei magistrati anti-mafia”.

Le ragioni di una metamorfosi

Giudizio poco generoso per il Guardasigilli Andrea Orlando,  convinto che “l’identità giustizialista” assunta per molti anni dalle forze politiche progressiste scaturisca dalla rinuncia della volontà di trasformazione sociale.

E risieda nella sudditanza della sinistra al pensiero liberista, nell’appiattimento acritico alle tesi ambientaliste, nel mancato ancoraggio al socialismo europeo. Fattori che hanno “ridotto la sua capacità di rappresentanza di ampi ceti popolari, spingendola a delegare alle toghe il compito di cambiare il paese”.

Le riforme di Orlando

Fautore fin dal 2010 di una proposta riformatrice del pianeta giustizia fatta eccezione per una marcata e genuina responsabilità civile dei magistrati, Orlando è pronto a ragionare su meccanismi di voto per l’elezione del Consiglio superiore in grado di valorizzare il singolo candidato rispetto all’egemonia delle correnti. A discutere di regole per individuare le priorità nell’esercizio dell’azione penale negli uffici giudiziari. E a ridurre il ricorso alla custodia cautelare, “troppo spesso utilizzata dalle toghe per anticipare la pena e ottenere prove per il processo”.

Il No al risarcimento diretto

Molto più intransigente la sua riflessione sul voto concernente la facoltà per i cittadini di ottenere con un giudizio il risarcimento diretto dei danni subiti a causa di un comportamento persecutorio, gravemente colposo, manifestamente illegale di una toga. L’esponente del PD parla di scelta “palesemente incostituzionale”, poiché finirebbe per intimidire l’azione di un giudice a causa della paura di ritorsione ad opera di una parte soccombente nel processo ma forte dal punto di vista economico.

Argomentazione condivisa dal vice-presidente del CSM Michele Vietti, che ancora una volta si erge a baluardo delle rivendicazioni della magistratura associata: “È in gioco non un privilegio, ma l’indipendenza di giudizio del magistrato che verrebbe messa a repentaglio da una responsabilità personale assente nelle democrazie europee”.

L’evoluzione di Magistratura democratica

L’ex parlamentare dell’Unione di centro rifiuta la tesi, contenuta  nel libro di Cerasa, per cui le famiglie politiche progressiste avrebbero perseguito una strategia gramsciana di conquista del potere salvo rimanere prigionieri di un rapporto organico con Magistratura democratica.

Realtà a suo parere ben diversa, molto più borghese e moderata, rispetto al gruppo ideologico delle origini. “La cui lettura costituzionalmente orientata delle regole giuridiche, legittima rispetto a un ordine e a una giurisprudenza che evitavano di applicare la Carta repubblicana, oggi è pacificamente acquisita.

Magistrati-politici anche a destra

Riguardo all’altro “peccato originale” tradizionalmente attribuito alla sinistra – le toghe “arruolate” in politica – il numero due del Consiglio superiore ricorda la “lista altrettanto corposa dei magistrati eletti con il centro-destra”. E per tutti propone un veto legale al rientro nell’ordine giudiziario.

Mentre il protagonismo dei giudici nella vita pubblica è da lui ritenuto un fenomeno con radici politiche. “Perché se l’interpretazione del diritto da parte dei giudici è molto ampia, se essi allargano il proprio ruolo a un generico controllo di legalità, a un’evanescente missione sociale che prevale sui fatti e le responsabilità personali, la colpa è di un ceto parlamentare che ha creato un groviglio legislativo inestricabile”.

Nessun bisogno di figure salvifiche

È la politica pertanto che deve intervenire per regolare l’utilizzo e la pubblicazione delle intercettazioni, rendere la carcerazione preventiva un’eccezione, frenare l’esposizione mediatica delle toghe, porre fine alla proliferazione delle fattispecie criminali che riempiono le prigioni. Ed evitare l’attribuzione di enormi poteri a magistrati come Raffaele Cantone, trasformati in “figure salvifiche” con lo scopo di estirpare la corruzione.

(CHI C’ERA ALLA PRESENTAZIONE DEL LIBRO DI CERASA. PEZZO DI SOTO E FOTO DI PIZZI)


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