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Orsoni, le miserie politiche del Pd e la fissa della gattabuia

Era il 14 luglio del 2008. Le agenzie, le radio e le tv diedero la notizia che, all’alba, era stato arrestato, insieme ad alcuni collaboratori, il governatore dell’Abruzzo Ottaviano Del Turco. Allora io ero deputato, appartenente ad un partito diverso da quello di Del Turco. Ma non esitai ad alzarmi in Aula – nel più totale isolamento – per  esprimergli  tutta la mia solidarietà e la ferma convinzione della sua totale estraneità ai fatti di cui era accusato.

Ottaviano ed io ci conoscevamo da 40 anni, durante i quali non c’era stata tra di noi soltanto una stretta collaborazione negli incarichi ricoperti all’interno della Cgil, ma anche un forte legame di amicizia, di frequentazione personale. Il procuratore che lo aveva incarcerato lo ricoprì, nella solita conferenza stampa, di accuse infamanti. Ma io non fui mai sfiorato dal minimo dubbio (il cuore ha delle ragioni – ci sia consentita una parafrasi di Pascal – che i codici non conoscono); così, in tutti gli anni successivi della legislatura, nella ricorrenza del 14 luglio, ho continuato a chiedere la parola in Aula e ad affidare agli atti le mie attestazioni di solidarietà ad Ottaviano. Potei notare con piacere che la mia parte politica non volle speculare su quel caso neppure in occasione delle elezioni che di lì a poco si tennero nella regione. Silvio Berlusconi, anzi, rivolse a Del Turco apprezzamenti significativi in un contesto generale in cui dominava – nel Pd – un assordante ed imbarazzato silenzio.

Quando, una volta esaurita la carcerazione, Del Turco si presentava alla Camera, era tutto un evitarlo o un salutarlo da lontano o il più sbrigativamente possibile (tranne ovviamente qualche lodevole eccezione di persone – ricordo in particolare Ugo Sposetti – che scambiavano con lui una stretta di mano accompagnata da qualche parola). Eppure in tanti erano convinti che quelle accuse non stessero in piedi e venivano a complimentarsi con me per il discorsetto che pronunciavo in Aula o, se capitava, sui giornali o in Tv.

Ma nessun democrat osava mettere in dubbio la condotta della magistratura. Salvo uno, il 14 luglio di alcuni anni dopo. Anche, allora, io  avevo fatto il solito intervento, ma dopo di me, quella volta, chiese di parlare sul mio stesso argomento, e ben più autorevolmente di quanto non potessi fare io, Piero Fassino, svolgendo considerazioni rispettose ma molto dure nei confronti di una procura che si era vantata di disporre di ‘’prove schiaccianti’’ ma che, dopo anni, non ne aveva trovata neanche una.

Mi è tornato alla mente questo episodio quando ho letto nei giorni scorsi le dichiarazione di Giorgio Orsoni (ormai ex sindaco di Venezia) a commento di come si sono comportati i vertici nazionali e locali del Pd nei suoi confronti in seguito all’arresto per le vicende del Mose. Anche in tale circostanza Piero Fassino ha dimostrato che la sua statura elevata non è solo una caratteristica fisica, ma un  connotato etico. Altri, in generale, si sono rivelati ancora una volta dei miserabili, dei lacchè delle toghe, a partire da quanti si sono affrettati ad ‘’espellere’’ Orsoni da un Partito a cui lui, pare, non si fosse mai iscritto e che lo aveva pregato di candidarsi  per vincere le elezioni.

A nessuno di questi ragazzotti – che hanno l’istinto delle iene – è venuto in mente di seguire la solita  procedura di rito che non avrebbe nuociuto  a nessuno, salvando la capra dei pm e i cavoli dell’imputato: si inizia esprimendo fiducia nell’opera della magistratura (ci mancherebbe !) ma nello stesso tempo si auspica che la persona colpita da un atto giudiziario sia in grado di dimostrare la propria estraneità. Con un po’ di coraggio in più si arriva anche a manifestare un briciolo di solidarietà e a svolgere qualche apprezzamento, almeno per il suo passato, alla persona inquisita. Nulla di tutto questo, soltanto uno squallido ‘’non è dei nostri, non lo conosciamo’’.

Questi ragazzotti continuano ad agire come degli scolaretti  delle elementari quando la maestra si rivolge loro per chiedere chi mai abbia rubato la merenda a Pierino. Sono  subito pronti ad accusarsi l’uno con l’altro. Ma nessuno di loro – specie tra quelli che hanno imposto al sindaco di dimettersi anche a costo di creare vere difficoltà alla vita di un Comune che deve approvare il bilancio (l’atto che responsabilmente Orsoni voleva compiere prima di andarsene) – si è interrogato sul perché ad un accusato di un reato tanto grave come quello che per il quale era stato associato alle carceri, Orsoni abbia potuto patteggiare una pena tanto lieve.

Al di là dei sillogismi giudiziari  la realtà è solo questa: il patteggiamento non ha consentito soltanto all’ex sindaco di tornare in libertà, ma anche alla Procura di salvare la faccia per un arresto che avrebbe potuto (e dovuto?) evitare.

P.S.- Ottaviano Del Turco ha subito in primo grado una pesante condanna. La mia opinione su di lui e sul suo caso non è cambiata.

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