In qualità di ministro del Lavoro Cesare Damiano, nel 2007, promosse la legge che “smontò″ la riforma delle pensioni fatta dal suo predecessore Maroni tre anni prima, tornando indietro rispetto a un aumento dell’età del pensionamento che era invece indispensabile.
Quella vera e propria “controriforma”, oltre a sottrarre nell’immediato più di 10 miliardi a investimenti, servizi e infrastrutture, creò le condizioni per rendere molto più pesante e doloroso l’intervento che il Governo Monti avrebbe dovuto poi compiere sulle pensioni nel dicembre 2011. Oggi lo stesso Damiano ci riprova con un disegno di legge (in Aula alla Camera da lunedì prossimo) che tende a smontare parzialmente la riforma del 2011, scardinando il nostro già non solidissimo equilibrio di bilancio.
Non gli è bastato il guaio combinato sette anni fa? Ma soprattutto, non si rende conto l’on. Damiano che, se disponiamo di qualche risorsa pubblica, oggi dobbiamo semmai destinarla ad aumentare la domanda di lavoro e a incentivare i disoccupati non ancora in età di pensione a reinserirsi nel tessuto produttivo? Perché il Parlamento dovrebbe accodarsi a un’opinione pubblica disinformata, che considera impossibile ritrovare un lavoro per un ultracinquantacinquenne, quando nell’ultimo anno quasi il 10 per cento dei nuovi contratti di lavoro sono stati stipulati con ultracinquantacinquenni?
Come si fa a considerare “di sinistra” la scelta di pensionare gli under 65 e persino gli under 60 con i soldi di generazioni che andranno in pensione – se ci andranno – dopo i 70?