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Vi spiego pregi e difetti della riforma Renzi-Madia della pubblica amministrazione

Il progetto di riforma della Pubblica amministrazione messo in cantiere dal governo sta riscuotendo, se pur con critiche avanzate dalla CGIL, una complessiva approvazione popolare e mediatica. Le obiezioni più aspre e radicali sono giunte finora dai dirigenti dell’apparato statale, tra cui Alfredo Ferrante, presidente dell’Associazione ex allievi della Scuola nazionale dell’Amministrazione.

Come giudica il piano di innovazione della burocrazia presentato dall’esecutivo?

Apprezzo lo sforzo di affrontare con una visione di insieme i problemi della Pa. Terreno su cui sono necessari numerosi interventi per migliorare livello dei servizi ai cittadini. Nella fase iniziale vennero utilizzati dal premier termini denigratori, tipici di una campagna elettorale, come “ruspa contro il ceto burocratico” e “palude in cui i vertici dell’amministrazione sguazzano mentre famiglie e imprese annegano”. Per fortuna quella stagione è stata archiviata con la lettera scritta dal ministro Marianna Madia ai lavoratori pubblici.

Quali punti trova più convincenti?

Attenendomi alle parole pronunciate dal Presidente del Consiglio e prima di leggere il disegno di legge delega e il decreto legge in materia, ritengo positiva la semplificazione delle procedure. Un’iniziativa di trasparenza in cui rientra il divieto di aspettativa per i magistrati che assumono ruolo dirigenziali nella Pa. Poi giudico con favore la reintroduzione del ruolo unico per i manager pubblici. Meccanismo che favorisce mobilità e rotazione, creando un’unica banca dati telematica di competenze ed esperienze per scegliere le persone giuste al posto giusto. Vi è tuttavia un problema rilevante.

Quale?

Ascoltando le parole di Madia sembra che il numero dei dirigenti sia maggiore dei posti disponibili. Pertanto diversi manager pubblici verranno espulsi, ed è difficile che vengano assorbiti nel settore privato o nelle ONLUS. Restando nell’ottica della mobilità e della libera competizione per le funzioni messe a bando, vogliamo mantenere il diritto all’incarico.

Non si rischia di creare privilegi intangibili?

Oggi un responsabile amministrativo può essere rimosso dall’incarico se incorre in responsabilità contabili o disciplinari. Ma con l’assunzione per chiamata diretta di responsabili esterni prevista dal progetto Renzi-Madia verrebbe ridotta alla precarietà una dirigenza vincitrice di concorso, formatasi con un lungo e faticoso percorso di prove e selezioni nella stessa Scuola nazionale dell’amministrazione. La titolare della Semplificazione aveva auspicato che il 100 per cento dei vertici pubblici provenisse da un processo così duro. Strada che diverrebbe un canale di serie B rispetto al reclutamento esterno. Un cambiamento pericoloso per i cittadini.

Perché?

L’opinione pubblica troverebbe di fronte a sé manager alla mercé del politico di turno. E sarebbe assai meno garantita. Se a ciò aggiungiamo l’aumento dal 10 al 30 per cento dei dirigenti nominati dal ceto partitico negli enti locali, il quadro si fa preoccupante. Si tratta di temi da affrontare e sciogliere in Parlamento tramite una discussione libera da ricette preconfezionate.

Ritiene che Renzi abbia seguito la “logica della ruspa” trattando i manager pubblici come capro espiatorio?

Non lo voglio pensare. Bisogna lavorare su meccanismi più efficienti per affermare la responsabilità dei dirigenti e per realizzare risparmi di spesa. È stato promosso un percorso di ampia consultazione, a cui abbiamo partecipato proponendo un “Erasmus dei dirigenti” allo scopo di svolgere un servizio periodico in altri paesi europei o nelle istituzioni comunitarie.

Pensa che le vostre proposte verranno accolte?

L’importante è ragionare sulla Pubblica amministrazione che vogliamo, ricordando che tutte le realtà occidentali presentano un apparato statale molto forte. Necessario per affrontare le problematiche di una società complessa. Evitiamo di agire sull’emergenza e superiamo luoghi comuni sbagliati come quello sul numero dei lavoratori pubblici italiani, ben al di sotto rispetto a Francia e Regno Unito.

Condivide l’adozione di un tetto alle retribuzioni pubbliche?

Sul punto non vedo problemi. Vorrei però compiere una distinzione. Da una parte vi sono i grandi manager delle industrie di Stato, in genere di nomina politica, e gli altissimi funzionari, molto ridotti nel numero, che beneficiano di remunerazioni notevoli. Dall’altra esistono centinaia di dirigenti delle strutture amministrative di prima e seconda fascia, che non guadagnano cifre esorbitanti. L’essenziale è pagare le persone per ciò che realizzano, mettendo a punto meccanismi premiali e non appiattendo verso il basso il lavoro svolto.

La persuadono le regole prospettate dal governo per garantire la trasparenza dell’apparato statale?

Sì. La nostra associazione aderisce all’iniziativa a favore di un Freedom of information act italiano, per cui i cittadini possono accedere a ogni atto della Pa attraverso un click eccetto i dati riservati o coperti da segreto militare. È un valido antidoto alle manovre opache di burocrati e politici. Ma è necessario andare oltre.

Come?

Trattando e rendendo fruibili le informazioni. L’apparato pubblico dovrà essere in grado di rispondere alle richieste di famiglie e imprese, che andranno ad aumentare. Per non sottrarre tempo ed energie al normale funzionamento degli uffici, bisognerà irrobustirli con personale nuovo e competenze informatiche. Ma il taglio del 50 per cento sulla formazione attuato negli ultimi anni non va nella giusta direzione.

L’abrogazione dell’istituto del trattenimento in servizio può agevolare il rinnovamento della macchina amministrativa?

Accolgo il principio, poiché un ricambio è necessario anche per offrire opportunità ai giovani. Renzi e Madia hanno parlato di 15mila nuovi posti di lavoro. Cifra che spero cresca, visto che negli ultimi 10 anni abbiamo registrato un calo di 350mila unità nella Pa. Ma è bene salvaguardare le esperienze e le competenze acquisite, immaginando un supporto-affiancamento del personale che entra ad opera dei manager giunti all’età previdenziale.



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