Grazie all’autorizzazione del gruppo Class Editori pubblichiamo il commento di Gianfranco Morra apparso su Italia Oggi, il quotidiano diretto da Pierluigi Magnaschi.
Da Marx, London, Higtgate Cemetery: «Uno spettro si aggira per l’Europa – lo spettro del populismo. Contro di lui tutte le potenze della vecchia Europa si sono alleate in una santa battuta di caccia. Ma ormai è riconosciuto come potenza da tutte le potenze europee». Marx ha capito perfettamente, lo spettro non è più il comunismo, ma il populismo. Che ha ragioni da vendere. Anche se non ha ancora trovato la sua Internazionale.
LO SPETTRO DEL POPULISMO
Una crescita notevole. In molte nazioni europee: in Francia Le Pen, Farage nel Regno unito, Thulesen Dahl in Danimarca, Strache in Austria, Podemos in Spagna). La loro lotta contro un’Europa che ingloba e uniformizza i cittadini, li induce ad accentuare la tradizione nazionale, ch’essi vogliono riscattare dal mucchio. Il loro punto archimedico è il popolo, considerato l’unica fonte del potere e della democrazia, ormai esautorato e strumentalizzato dai poteri forti. I loro nemici sono l’omologazione cosmopolitica e la globalizzazione, le banche e i mass-media, gli immigrati e i politici di professione.
IL RIFIUTO DELLA DEMOCRAZIA INDIRETTA
Ciò che li unisce è soprattutto il rifiuto di una democrazia indiretta divenuta (oltre che furto) totalitarismo e manipolazione. Quasi una conferma delle legge stabilita, nel solco di Rousseau, da Carl Schmitt: «Una democrazia, più è rappresentativa, meno è democratica». Ma non meno rilevanti sono le differenze. Il “no” prevale a tal punto sul “sì”, che a definire una piattaforma comune non ci pensano. Ci sono populisti di destra, particolarmente impegnati nella difesa della patria dalle invasioni dei migranti, e ce ne sono di sinistra, che accusano l’Europa di aver prodotto disoccupazione soprattutto giovanile. Per Strasburgo, i populisti greci hanno votato due partiti opposti, Tsipras di estrema sinistra (apparentato con Vendola) e Alba Dorata nazionalista di destra.
UN EVIDENTE PARADOSSO
Ma il populismo esprime un forte paradosso: comprensibile e anche convincente quando demonizza l’Europa, attribuendole tutte le colpe della crisi attuale; vaniloquente e insignificante nelle proposte positive, poche e confuse. Alcuni progetti per il riordino della nazione sono accettate dagli elettori, ma quanto alla politica europea nessuno ha ancora convinto. Dato che non basta dire di no e ottenere così il voto degli scontenti. La descrizione di un tramonto convince solo se accompagnata dall’annuncio di una nuova alba.
UNA FORTE MAGGIORANZA
Tutti insieme, i partiti populisti, di destra e di sinistra, hanno ottenuto circa 180 seggi su 751. I partiti europeisti, nessuno dei quali nega la necessità di cambiare anche radicalmente l’Unione Europea, hanno ancora a Strasburgo una forte maggioranza. In Germania e in Italia i primi partiti sono europeisti. Che non può significare conservatori delle strutture e delle pratiche attuali dell’Unione. Significa, anzi, impegnarsi per una riforma del meccanismo europeo, nella convinzione che la crisi dell’Europa e la parallela crescita di tante nazioni del mondo, richiede una organizzazione più intelligente e rapida. E che l’uscita dall’euro avrebbe conseguenze negative per le economie nazionali. Basta pensare all’Inghilterra: l’euro non l’ha voluto, ma la sua situazione economica non è delle migliori.
UNA CRITICA PREZIOSA
Il populismo è una preziosa critica degli abusi della democrazia. Ed è, anche, un valido appello alla sua purificazione. Ma in ciò esaurisce il suo compito. Quando vuole definire un progetto positivo, incespica, zoppica e anche cade. Il pallone gonfiato diventa una boccia persa. I partiti populisti non vivono una esistenza stabile e continuativa, ma fluida e altalenante. E recano dentro una insuperabile contraddizione: iperdemocratici nella richiesta di una gestione diretta della politica, si organizzano totalitariamente attorno a dei leader autoritari e onnipotenti.
I PARTITI IN CALO
Non tutti sono fatti per durare. In Italia capitò a Guglielmo Giannini: nel 1946 il suo Uomo qualunque ebbe 30 deputati; dopo l’insuccesso nelle elezioni del 1948 dovette sciogliere il movimento. Eppure, ci ha assicurato sua nipote, l’ex valletta di Mike Bongiorno a Lascia o raddoppia? Sabina Ciuffini, era di molto superiore a Grillo. Del resto, le recenti elezioni europee hanno visto anche partiti populisti in calo: come i due dell’Olanda e del Belgio, il Movimento 5 Stelle, la Lega Nord, passata da 8 a 5 eletti a Strasburgo.
LA VIA DELLE RIFORME
La via fertile per l’Europa non è né quella distruttiva del populismo, né quella conservatrice dei poteri forti. È la via democratica delle riforme. L’Europa ha perso competitività economica e potenza politica. Per non pochi anni sarà molto se riesce a non peggiorare la situazione. E, ancor più, a gettare le basi per un lento recupero. Che solo un mutamento delle strutture potrà consentire. Con l’Unione e con l’Euro siamo destinati a convivere ancora a lungo. Né fortuna, né calamità, l’Europa è un destino. Come nel rapporto tra Catullo e Lesbia, della quale il Poeta diceva: «Farei volentieri a meno di te, purtroppo non posso» (nec tecum possum vivere nec sine te).