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Ecco le 4 armi referendarie dei prof. contro il Fiscal Compact

“Stop all’austerità. Riprendiamoci la crescita. Riprendiamoci l’Europa”. È lo slogan con cui un comitato di economisti e giuristi guidato da Gustavo Piga ha promosso 4 referendum per trasformare in profondità la legge, approvata a larghissima maggioranza e in tempi record nel 2012, che attua l’introduzione del principio del pareggio di bilancio e del Fiscal Compact nella Costituzione italiana.

FRONTE TRASVERSALE

A presentare in Corte di Cassazione le richieste di consultazione popolare è una realtà eterogenea sul piano culturale e politico.

Aderiscono all’iniziativa studiosi e personalità di differente orientamento, come  l’economista liberale ed ex vice-ministro nei governi di centro-destra Mario Baldassarri, il ricercatore di tendenze dell’opinione pubblica Nicola Piepoli, il costituzionalista e vice-presidente del Consiglio di sorveglianza di Intesa San Paolo Mario Bertolissi, il segretario confederale della CGIL Danilo Barbi, la dirigente pubblica Melania Boni, la docente universitaria di Finanza matematica Rosella Castellano, gli accademici di Scienza delle Finanze Antonio Pedone e Massimo D’Antoni, il giurista ed ex ministro del Lavoro nei governi dell’Ulivo Cesare Salvi.

LE CIFRE DELL’AUSTERITA’

È Gustavo Piga, professore di Economia all’Università Tor Vergata di Roma, fondatore e presidente dell’associazione Viaggiatori in movimento, autore di analisi penetranti sugli effetti del Fiscal Compact, a fornire cifre eloquenti del “fallimento registrato dalle politiche di austerità europee, fonte di lacerazione tra una Ue del Sud e una del Nord, minaccia radicale per i principi della costruzione comunitaria”.

Strategie che tra il 2007 e il 2013 hanno provocato un aumento del tasso di disoccupazione dal 6 al 12,7 per cento – per i giovani dal 20 a oltre il 43 – una riduzione del livello di occupazione da 23 milioni 222mila a 22 milioni 408mila persone. Altre conseguenze visibili sono il crollo del Prodotto interno lordo di 8,5 punti percentuali con la chiusura di 2.880.601 imprese, la crescita del rapporto debito-PIL dal 103 a quasi il 133 per cento e della relazione deficit-PIL dall’1,6 al 2,8 per cento.

LE RAGIONI DELL’INIZIATIVA

Per tale ragione un gruppo di studiosi ha voluto accendere un dibattito finora trascurato nei luoghi in cui si assumono le scelte politiche strategiche. A partire dall’Europa, in cui “è stato creato un mostro tecnocratico antitetico alla vitalità rivelata dalle istituzioni democratico-liberali statunitensi, capaci di correggere in corso d’opera atti ed errori grazie all’originaria attitudine al pragmatismo”.

Al contrario di quanto avvenuto nell’Ue, gli Usa hanno affrontato con spirito critico e aperto negli anni Novanta e Duemila un ampio e appassionato dibattito pubblico sul pareggio di bilancio. E hanno optato con saggezza per le ricette più flessibili e meno ideologiche, sconfessando le tesi dei più accesi “conservatori fiscali”.

INTRALCIARE IL FISCAL COMPACT

L’unico strumento efficace per accendere i riflettori è apparsa la richiesta referendaria. Una sfida molto complessa, che coinvolge i riflessi di un trattato intergovernativo e non può puntare all’abrogazione del vincolo del 3 per cento nel rapporto deficit-PIL.

Il bersaglio “chirurgico” prefigurato dalla campagna popolare è la rottura del fronte finora coeso dell’austerità finanziaria. L’obiettivo è “rendere complicata la vita” al Fiscal Compact cogliendo gli elementi di novità emersi con il voto per l’Assemblea di Strasburgo e approfittando dei segnali positivi derivanti dal calo dello spread.

Perché, osserva Piga, il Documento di economia e finanza messo a punto dal governo – identico a quello degli esecutivi Monti e Letta – non ci fa uscire dal tunnel della stagnazione e riduce all’1,4 per cento del PIL gli investimenti produttivi.

RECUPERARE LO SPIRITO DEMOCRATICO

All’epoca dell’approvazione del principio del pareggio di bilancio in Costituzione e nell’ordinamento italiano, ricorda il consigliere di Stato Paolo De Ioanna, menti e competenze dei parlamentari furono obnubilate dalle grida di allarme del baratro alle porte. Così, evidenzia il giurista, è stata svuotata la democrazia cognitiva.

E i rappresentanti dei cittadini si sono trasformati come nella vecchia Unione Sovietica in funzionari, negando lo spirito di una Costituzione che per sua natura respinge l’egemonia di una specifica visione economica.

La proposta referendaria, prosegue l’alto magistrato amministrativo, è stata concepita per ritornare a un’intelligente politica capace di riprendere il posto di una tecnica rinchiusa con miopia nei vincoli convenzionali di bilancio. E per recuperare il valore del corretto utilizzo di risorse pubbliche, allo scopo di realizzare come nelle realtà scandinave riforme di struttura e sviluppo sostenibile.

I 4 QUESITI

Le richieste referendarie, lungi dal colpire i trattati intergovernativi, le leggi comunitarie e le norme di rango costituzionale, puntano a rimuovere i pilastri della legge attuativa del nuovo articolo 81 della Costituzione. Norma che, afferma il professore di Diritto pubblico all’Università di Macerata Giulio Salerno, non solo ha recepito tutti gli obblighi di bilancio comunitari, ma vi ha aggiunto vincoli non previsti dall’Unione Europea e pertanto non giustificati.

Il primo quesito punta a rimuovere la facoltà per il governo italiano di mostrarsi più rigido rispetto agli stessi obiettivi del Fiscal Compact. Il secondo mira ad affermare l’intrinseca flessibilità nel principio di equilibrio di bilancio, come peraltro scritto nel Trattato di Maastricht.

Il terzo vuole permettere operazioni di indebitamento finanziario anche in mancanza di circostanze eccezionali. Il quarto prevede l’attivazione di manovre correttive di risanamento soltanto sulla base dei trattati comunitari e non di accordi intergovernativi come il Fiscal Compact. La cui legittimità, rimarca lo studioso, potrebbe essere valutata dalla Corte Costituzionale nel vaglio di ammissibilità dei referendum.

UNA CAMPAGNA EUROPEA

Le tematiche sollevate dall’iniziativa, precisa Leonardo Becchetti – economista e divulgatore del micro-credito in Italia – presentano un respiro europeo, visto che il regime di austerità finanziaria impone agli Stati più vulnerabili dell’Euro-zona ritmi di sviluppo impensabili come il 6 per cento in Grecia. Ma a suo giudizio è necessaria un’azione contemporanea della BCE in grado di portare il tasso di inflazione alla cifra standard del 2 per cento.

E il suo collega ultra-keynesiano Riccardo Realfonzo si spinge oltre: “Ho aderito alla richiesta di consultazione popolare per mettere in discussione le scelte di bilancio affermatesi in Europa e nel nostro paese. Percorso fallimentare da ogni punto di vista, e che a dispetto delle aspettative di molti non ha creato il terreno per una crescita virtuosa”.

LA POLEMICA CONTRO IL GOVERNO RENZI

Nell’orizzonte dell’austerità rientra a pieno titolo, secondo lo studioso, la filosofia del DEF governativo. Documento che prevede nel prossimo triennio uno sviluppo del 2 per cento. Cifra impensabile, rileva l’economista, proseguendo con le strategie restrittive di tagli radicali e permanenti della spesa pubblica – nettamente al di sotto della media europea – e di elevata pressione fiscale.


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