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Rodriguez risplende, Neymar si spegne. Il taccuino mundial di Malgieri

Quando Sokratis Papastathopoulos, difensore del Borussia Dortmund, ha riaperto l’incontro praticamente finito con la Costa Rica, al 91’, ho pensato che gli dèi degli ellenici avessero rivolto il loro benevolo sguardo sull’infuocato catino calcistico di Recife. La partita era persa. I Ticos festeggiavano sugli spalti. Le ragazze dagli occhi luminosi e dalla pelle ambrata danzavano mentre le lacrime rigavano il volto dei greci. Un lampo improvviso. Lo stadio è ammutolito. Trenta minuti ancora di sofferenza per gli uni che in dieci avevano praticamente portato a casa l’impresa e di speranza per i mai rassegnati che, ben oltre ogni ragionevole dubbio, avevano continuato a credere nella vittoria. I tempi supplementari, tuttavia, non sono bastati. La lotteria dei rigori ha deciso, come nelle peggiori tradizioni calcistiche. E l’immenso Keylor Navas, uno dei tre migliori nel suo ruolo nel Mondiale brasiliano – insieme con il messicano Ochoa ed il carioca Julio Cesar – ha negato a Gekas la gloria.

Il sogno dei greci s’è schiantato contro un destino che forse era fin lì stato più che benevolo. Gli dèi hanno deciso di voltarsi da un’altra parte disponendo che l’eroe del giorno fosse Navas. Riuscirà a fare gli stessi miracoli ai Quarti di finale contro l’Olanda? A Salvador de Bahia si profila un altro scontro tra due Continenti calcistici. E, francamente, azzardare un pronostico è rischiosissimo. Fino a pochi minuti dalla fine gli “arancione” di Van Gaal hanno subito un Messico che ha fatto vedere un football a tratti sublime, sostenuto da Marquez, Guardado e Giovanni Dos Santos, autore del gol che ha tenuto in vita le aspirazioni legittime dei messicani contro gli olandesi a volte contratti, altre volte cinici più del dovuto e trascinati da quell’ autentico condottiero che è Robben. Senza Ochoa, comunque, tutto sarebbe stato vano. Fino 43’ del secondo tempo, quando Sneijder ha riaperto i giochi e sei minuti dopo, su calcio di rigore, Huntelaar li ha chiusi definitivamente. Per la sesta volta il Messico si vede sbarrate le porte d’accesso ai Quarti di finale. Il cinismo ha la meglio. Fa parte del lato tragico del calcio.

E mentre rifulge la stella di James Rodriguez, il ragazzino colombiano che Roberto Bettega non volle alla Juventus nel 2010, si appanna quella di Neymar e del Brasile candidato alla vittoria finale da sempre. Se il primo non sa ballare la salsa, come lui stesso ha rivelato, dubitiamo che il secondo se la cavi nel samba almeno con i suoi compagni di squadra. Sono le due facce del calcio sudamericano. Rodriguez incarna l’allegria, Neymar la depressione. L’uno, grazie anche al genio di Pekerman, ha saputo prendere dai brasiliani quel che loro hanno via via perduto sulle strade d’Europa: l’invenzione giocosa, il futbol bailado, la realizzazione di classe. L’altro s’è spento inseguendo Fred, Oscar, Hulk sbiadite copie dei brasiliani incantatori di stadi. Ed i carioca senza il loro calcio, appreso nei campetti di periferia o palleggiando sulle spiagge assolate, lontani comunque dalle scuole che pure da quelle parti vanno tanto di moda, ma non sfornano fuoriclasse, sono caricature dei loro geni viventi e scomparsi per i quali il futebol era a vida do povo. Molto di più d’una disciplina sportiva.

La Colombia affamata e colorata, ballerina ed acrobatica, concreta e divertente, avanza ed indietreggia con tutti e dieci i suoi giocatori (talvolta il portiere partecipa, come faceva Higuita), interpretando calcisticamente la cumbia, il ballo nazionale: le coppie stanno di fronte, non si toccano, semmai si sfiorano, e tutte insieme si vanno incontro e poi si allontanano. L’Uruguay ha perso perché s’ messa a specchio, come si dice, degli avversari, ma la loro tristezza non prevede la variazione africana istintiva nei colombiani che praticano il calcio come se appunto fosse una variante della cumbia. Quando la vidi ballare sulla spiaggia di Cartagena chissà perché mi vennero in mente alcuni fraseggi calcistici. E qualche sera fa, ho guardato, dopo aver eliminato il sonoro, spezzoni di partite dei colombiani con la loro musica popolare, la cumbia appunto, in sottofondo, come se fosse una colonna sonora.
Non so se Armero e Zuniga sono versati in questo campo, ma i loro passi fanno intuire che, sia pure inconsciamente, la filiazione da quella forma culturale latino-americana, ignorata dai distratti europei, non ha subito l’usura del tempo.


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