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Così Cina e Russia vogliono rompere l’egemonia americana del rating

Dopo l’accordo sulla fornitura di gas siberiano a Pechino, un nuovo tassello si aggiunge al mosaico delle relazioni sino-russe.

Russia e Cina hanno concordato di istituire un’agenzia di rating controllata da Mosca e Pechino per ridurre la loro dipendenza da Stati Uniti ed Europa.

Il nuovo istituto andrebbe a sommarsi alle tre “sorelle” americane (Standard & Poor’s, Moody’s e Fitch) e alla cinese Dagong con la quale, hanno rivelato alcune fonti occupate nel progetto, potrebbe forse esserci una stretta collaborazione.

I PRIMI PASSI

In un primo momentoha detto al Financial Times il ministro delle Finanze russo, Anton Siluanov -, l’agenzia valuterà i progetti e gli investimenti della cooperazione russo-cinese che coinvolge anche tutta una serie di Paesi asiatici. In seguito, acquisendo prestigio, potrà mettere a disposizione le sue valutazioni ad altri Paesi e privati investitori che utilizzano i servizi di rating”.

UN’ARMA SPUNTATA?

L’iniziativa, tuttavia, rischia di rimanere un’arma spuntata secondo Alberto Forchielli, socio fondatore di Mandarin Capital Partners, il più grande fondo di private equity sino-europeo, e Osservatorio Asia, centro di ricerche non-profit.

Siamo nel campo degli annunci, ma poco più“, spiega Forchielli a Formiche.net. “Un’agenzia di rating che possa essere considerata autorevole ha bisogno innanzitutto di avere alle spalle un’autorità di sorveglianza forte e indipendente, che in Cina non esiste. Quanto poi alla Russia, questa è totalmente dipendente dall’Occidente sul piano finanziario. Non ha nemmeno un proprio sistema di pagamenti. Certo, un’agenzia si può sempre creare, ma rimarrebbe qualcosa di confinato ai due Stati, senza nessuna rilevanza internazionale. Non sarebbe qualcosa di cui investitori e mercati potrebbero fidarsi“.

IL RESTO DEI BRICS

Di questi punti deboli sembrano essere consapevoli Mosca e Pechino, che puntano ad allargare il progetto al resto dei Paesi Brics (Brasile, India e Sudafrica), da tempo intenzionati a pesare maggiormente nelle istituzioni occidentali – Banca Mondiale e Fondo Monetario Internazionale in primis – e, se non dovessero riuscirci, a sostituirle con nuovi organismi.

Vogliamo un’agenzia che faccia le sue valutazioni rimanendo fuori dalla politica” ha aggiunto Siluanov, cercando di rassicurare proprio sul tema dell’indipendenza della nuova agenzia.

LE PRESSIONI DEGLI USA

Timori che il quotidiano britannico spiega citando il pensiero espresso dal vice primo ministro russo, Igor Shuvalov, secondo cui il danno più ingente all’economia di Mosca non è arrivato dalle sanzioni dirette, ma dalle pressioni americane sui fondi d’investimento, che le agenzie di rating orienterebbero con giudizi penalizzanti, come quella di aprile scorso, quando S&P’s ridusse la valutazione sulla Russia portandola a BBB-, solo un gradino sopra il livello “junk” (spazzatura).

L’UNIONE EURASIATICA

La combinazione di questi elementi offre per gli addetti ai lavori un’interpretazione plastica delle ragioni che spingono Vladimir Putin a volersi svincolare da quella che considera una “morsa” ai danni della Russia e della sua leadership.

Un piano che il presidente russo vuole realizzare non tanto aprendo alla vendita di energia a Pechino – per molti esperti solo un incontro naturale tra offerta e domanda -, quanto attraverso la creazione di una propria area politica ed economica di influenza, l’Unione eurasiatica, una mossa che gli consentirebbe di non passare dalla “padella” occidentale alla “brace” cinese.



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