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Sarà l’Arabia Saudita a evitare uno sboom petrolifero dell’Irak?

La guerra in Iraq, alimenta il timore che il prezzo del petrolio possa salire. L’Iraq non è un gran produttore di petrolio, ma ha delle riserve fra le maggiori. Perciò il suo ruolo è prospettico più che puntuale. Un eventuale blocco della sua pur non esagerata produzione di petrolio potrebbe spingere i prezzi al rialzo?

Premessa: perché il prezzo del petrolio rileva? In un mondo dove tutto è possibile – il mondo ideale – se il prezzo del petrolio sale, si molla l’auto in garage e si prende la bicicletta. Oppure, si usa come prima l’auto, ma non si va in pizzeria. Il livello dei consumi resta invariato. Nel mondo reale, invece, quando il prezzo del petrolio sale, i consumi si contraggono. Quando il maggior prezzo del petrolio spinge l’inflazione, il consumo di beni non durevoli resta quasi invariato. Il che è nella direzione del mondo ideale. Invece, si riducono molto gli acquisti di beni durevoli, come gli elettrodomestici e le automobili. Il che non è nella direzione del mondo ideale. Oppure meglio, chi acquista beni durevoli pensa che le crisi petrolifere possano durare a lungo. Ciò nonostante, le crisi petrolifere sono state tutte “digerite”. I numeri ci dicono che le crisi petrolifere di Suez (1956) e della rivoluzione iraniana (1979) sono rimaste locali. La crisi del Kippur (1973) e quella della guerra fra Iran e Iraq (1980) non sono state digerite in pochi mesi, ma non sono nemmeno state seguite da una produzione devastata a livello mondiale. La crisi libica (2011) ha avuto un effetto, alla fine, nullo.

Per quale ragioni le crisi petrolifere sono “digerite”? Si abbiano due paesi, uno con una produzione relativamente modesta e delle riserve di petrolio cospicue (l’Iraq), l’altro con una produzione e delle riserve di petrolio cospicue (l’Arabia Saudita). Si abbia anche, nei paesi compratori, una domanda di petrolio rigida. Essa può diventare elastica, ma dopo qualche tempo. Si abbia infine, sempre nei paesi che comprano il petrolio, un magazzino dove è stipato il petrolio estratto. Si abbia ora uno shock politico in Iraq. Il quale shock ne riduce la produzione di petrolio. Come reagirà il prezzo del petrolio? Se la domanda è rigida, si ha un balzo del prezzo, attenuato dal petrolio che esce dai magazzini (quali sono anche le riserve strategiche) dei paesi consumatori. Se la produzione irachena resta – sempre per effetto dello shock politico – ridotta per un tempo prolungato, allora il prezzo del petrolio torna a salire, man mano che ci si avvicina all’esaurimento del magazzino. Potremo assumere che l’Arabia Saudita entri in azione prima che i magazzini siano esauriti e prima che cambi la curva di domanda dei paesi produttori. L’Arabia Saudita offre una quantità di petrolio pari alla minore quantità offerta dall’Iraq. In questo caso, l’offerta è identica a quella iniziale e il prezzo torna dov’era.

Conclusione: la guerra irachena, se bilanciata dalla produzione saudita, non dovrebbe produrre effetti negativi maggiori. Tutto ruota intorno all’Arabia Saudita.

Leggi l’articolo sul sito del Centro Einaudi


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