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Sfide e incognite di al Sisi, nuovo presidente d’Egitto

L’attesa, ma comunque schiacciante, vittoria alle presidenziali egiziane dell’ex-maresciallo Abdel Fattah al-Sisi (97% dei voti) è stata salutata con sollievo dall’Occidente. La ridotta affluenza dei votanti (meno del 50% degli aventi diritto) dimostra come l’Egitto rimanga un Paese profondamente diviso. Potrebbero crearsi problemi di ordine pubblico. La loro soluzione è più facile in Egitto di quanto lo sia in Siria, Libia e Yemen. Diverse sono le ragioni: l’Egitto è uno Stato; la popolazione è concentrata sulla stretta fascia attorno al Nilo; le forze armate e di polizia sono coese e potenti. La situazione economica è però drammatica. E’ l’emergenza che al-Sisi dovrà subito affrontare.

UN REGIME AUTORITARIO

In ogni caso, le elezioni segnano una vera e propria restaurazione di un regime autoritario, dominato dai militari e dall’ideologia del panarabismo. L’Egitto vi è abituato dal colpo di Stato del 1952 di Neguib e Nasser e, soprattutto dal 1954 quando il secondo dfece dimettere il primo e eliminò dal potere la Fratellanza Musulmana che l’appoggiava. Molti governi occidentali hanno tirato un respiro di sollievo. Potranno riconoscere la legittimità del nuovo regime e dimenticare serenamente che esso è nato da un golpe militare, termine che gli USA non hanno mai impiegato per non dover sospendere gli aiuti militari e lasciare campo libero a Mosca.

UNA RELATIVA NORMALITA’

Il più popoloso, influente e potente Paese arabo torna così ad una relativa normalità. Ha scelto l’ordine rispetto al caos, l’autocrazia rispetto alla democrazia illiberale dell’ex-presidente Morsi, esponente di quella Fratellanza Musulmana in cui tanti occidentali, in particolare americani, avevano riposto grandi speranze. Con il suo tentativo di monopolizzare il potere e con i suoi quasi maniacali sospetti di complotti, Mohamed Morsi ha finito per provocare proprio quello che temeva: la reazione dello “Stato profondo”, cioè dell’establisment militare, burocratico e giudiziario. La malaccorta gestione del potere da parte di Morsi ha fatto alleare contro di lui la Fratellanza copti, ma i salafiti del partito Nour, i giovani della piazza Tahrir, il ceto medio egiziano e l’Università al-Azhar, centro culturale del sunnismo.

NESSUNA DEMOCRATIZZAZIONE

Sono scomparse le speranze della democratizzazione dell’Egitto, anche se la nuova costituzione fatta approvare dai militari è più rispettosa dei diritti umani e civili di quella di Morsi. Esse sopravvivono solo in Tunisia, la cui traiettoria politica è differente da quella dell’Egitto. A Tunisi, il partito Ennahda, derivato dalla Fratellanza Musulmana, è sopravvissuto poiché ha dato prova di moderazione. Ha accettato il pluralismo. Ha fatto un governo di coalizione con partiti secolari. Si tratta però di un caso isolato, derivante dalle particolari condizioni della società tunisina, la più europeizzata del mondo arabo. Meglio comunque gli autoritarismi che le guerre civili e il caos!

UNA SVOLTA STORICA

La vittoria di al-Sisi verrà ricordata come una svolta storica di quel complesso fenomeno che va sotto il nome di “primavera araba”. Salutato dagli idealisti come l’inizio della democrazia, come un nuovo 1848 o 1989, si è a poco a poco rivelato come l’inizio di un lungo e difficile processo di transizione, analogo a quello conosciuto dall’Europa con la guerra dei trent’anni. Le conseguenze non saranno solo per l’Egitto. Finiranno gli incendi delle chiese e la fuga dei copti. Il regime sta prendendo il controllo della situazione, usando un pugno di ferro contro la Fratellanza. Centinaia sono state le condanne a morte. E’ però probabile che molte non verranno eseguite.

LE CONSEGUENZE ESTERNE

La vittoria elettorale di al-Sisi, che sarà seguita entro l’anno dalle elezioni politiche, avrà conseguenze anche all’esterno dell’Egitto, soprattutto nel mondo arabo. Essa è stata entusiasticamente applaudita da Putin, che l’ha definita “brillante e convincente”. Si tratta beninteso di un’esagerazione, che però testimonia l’importanza che Mosca attribuisce all’Egitto e la sua volontà di consolidare la sua influenza in Mediterraneo. Lo si era già visto nella recente visita di al-Sisi a Mosca, nella quale ha ottenuto 2 miliardi di dollari di armi a condizioni particolarmente vantaggiose. Pragmaticamente, Londra si è accodata agli applausi, aprendo addirittura un’inchiesta giudiziaria sulle attività della Fratellanza Musulmana nel Regno Unito. Gli idealisti, alla Henry-Bernard Lévy, che tanti danni hanno fatto con la loro sprovvedutezza, ne sono stati zitti. Per fortuna! L’alternativa sarebbe stata una nuova Siria o una nuova Algeria e alla fine una situazione caotica e dissestata come in Libia o nello Yemen.

I PROBLEMI CONTINUERANNO

Beninteso, l’elezione di un nuovo “faraone” non risolve i drammatici problemi socio-economico-finanziari dell’Egitto. La defenestrazione di Morsi e la repressione a cui è sottoposta la Fratellanza Musulmana erano state salutate dagli Stati del Golfo, che avevano messo subito la mano al portafoglio, concedendo all’Egitto prestiti e doni per 12 miliardi di dollari. Dopo l’elezione di al-Sisi, l’Arabia Saudita ha chiesto che vengano dati con urgenza a Il Cairo altri miliardi di dollari, a cui si dovrebbero aggiungersi i 5-6 erogati dal FMI. Ciò permetterà di non ridurre troppo drasticamente i sussidi erogati alla popolazione per l’acquisto di viveri e di carburanti. Una loro brusca abolizione farebbe scoppiare rivolte. L’opposizione rappresentata dalla Fratellanza Musulmana si era frammentata in fazioni litigiose, anche per beghe personali. La repressione le sta facendo ritrovare l’unità.

STABILITA’ IMPORTANTE

La stabilità dell’Egitto è importante per tutto il mondo arabo. Ne faciliterà la stabilizzazione e l’unità contro l’Iran. L’Arabia Saudita non si sente più protetta dagli USA. Fra gli Stati del Golfo fa eccezione il Qatar, sostenitore del panislamismo della Fratellanza Musulmana. Esso è opposto al panarabismo tradizionale dei militari egiziani. Il piccolo, ma ricchissimo, emirato è sotto accusa per essersi “agitato” troppo, per mantenere stretti contatti con elementi radicali (ha mediato con i Talebani la recente, discussa liberazione di un sergente americano), e per i brogli commessi per ospitare la coppa del mondo di calcio. Le accuse rivolte a Doha da Riad hanno raggiunto toni inusuali nelle relazioni internazionali. Molto probabilmente, l’Egitto non rimborserà i prestiti concessi da Doha a Morsi.

IL “MODELLO EGIZIANO”

Il “modello egiziano” influirà anche sulla Siria, anche se la stabilizzazione del paese sarà difficile, dato il sangue versato e la dispersione della popolazione nel deserto, impossibile da controllare. Consoliderà anche la situazione algerina. Avrà conseguenze positive sulla Libia. L’Egitto non può accettare la destabilizzazione della Cirenaica. Non è da escludere un intervento di pacificazione del paese, le cui ricchezze petrolifere fanno certamente gola all’Egitto. Non per nulla quest’ultimo sembra aver sostenuto l’attacco agli islamisti della Cirenaica da parte del generale Khalifa Kaftar. Probabilmente l’Egitto verrà sostenuto dall’Algeria, anch’essa impegnata contro gli islamisti.

I RIFLESSI SULLA TURCHIA

Il successo di al-Sisi rappresenta un nuovo scacco per la Turchia. Accentuerà la tendenza di Ankara, dopo aver diminuito l’interesse per l’Europa da cui si sente rifiutata, a ridurre anche quello verso il mondo arabo. La politica di Erdogan di “nessun nemico alle frontiere“ è ormai solo un ricordo, come lo è anche l’ambizione di estendere il “modello turco” agli Stati della “primavera araba”. Infine, il successo di al-Sisi rappresenta un’ulteriore sconfitta per Hamas, sempre più isolato, da quando la Fratellanza Musulmana di cui è una branca è stata estromessa dal potere in Egitto. Al-Fatah ne è stato rafforzato, consolidando il governo d’unità nazionale palestinese.

VARIE IMPLICAZIONI

Insomma la scontata elezione di al-Sisi avrà profonde implicazioni non solo interne, ma sugli assetti geopolitici del mondo arabo. L’Italia e l’Europa non hanno alternative se non quelle di mettere da parte la retorica e di sostenere il nuovo corso, aiutando l’Egitto a risolvere le enormi sfide socio-economiche che deve affrontare.


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