Skip to main content

Suarez, rapinatore e cecchino. Il taccuino mundial di Malgieri

Edinson Cavani è un attaccante stellare con l’umiltà e la tenacia di un mediano. Un calciatore atipico che in virtù delle sue qualità trascina le squadre in cui gioca anche nelle situazioni più disperate e compromesse. Se Luis Suarez è il “puntero” classico, rapinatore di area, ma anche cecchino da fuori, il centravanti del  Psg è l’ispiratore della manovra conclusiva e non di rado il finalizzatore efficace in grado di arrivare davanti al portiere avversario con la freschezza di chi è reduce da un lungo riposo nonostante abbia corso più di un maratoneta.

È perciò unico in un ruolo che non è stato ancora definito e classificato: prima o seconda punta anomala, mediano d’attacco (se non fosse un ossimoro), difensore e fluidificante ad un tempo. Peccato non si sia ancora cimentato in porta, ma non è detto che non accada, ripetendo, magari, le imprese del mitico estremo difensore colombiano, José René Higuita Zapata, famoso per i suoi gol, realizzati prevalentemente su calci piazzati, quanto per le sue iperboliche parate, come quella detta dello “scorpione” che, praticamente, consisteva nel farsi scivolare il pallone dietro la testa e con una capriola colpirla in tuffo con i tacchetti delle scarpe: nessuno ha mai capito come ci riuscisse. Portiere e goleador dunque. In un’altra vita Cavani potrebbe pensarci.

Se l’Uruguay può continuare a sperare, con buone possibilità di superare  il turno, lo deve all’ex-napoletano oltre che al balistico Suarez e ad un complesso tattico se non esaltante certo redditizio. Maestro Tabarez non è nato ieri e riesce a fare il pane con la farina che ha.

Ci auguriamo che anche Cesare Prandelli, privo di fuoriclasse (Pirlo a parte) e ricco di acerbi e promettenti giovanotti, sia capace di impastare nella madia della tradizione italiana la pasta migliore possibile, amalgamarla al punto giusto e farla cuocere a puntino. Se la ricetta riuscirà, per quanto la Costa Rica non è cliente facile, l’Italia non avrà problemi a superare il girone di slancio; diversamente, Campbell ed i suoi la sfiancheranno fino alla fine cercando il gol risolutivo.

A quel punto tutto diventerebbe  maledettamente complicato in vista della partita decisiva con quell’Uruguay che soltanto il destino ha voluto mettere alla prova, proprio con i  costaricani, nella partita d’esordio. Ma quella era una storia scritta che non poteva avere un altro esito ricordando la vendetta promessa sessantaquattro anni fa…

In queste ore, lo confessiamo, siamo pieni di dubbi. La squadra che ha dominato l’Inghilterra ci ha sorpreso, ma non del tutto convinto. Restano alcune ombre a centrocampo e in attacco che soltanto da una prova superlativa potranno essere dissolte. Basta un niente per infilare la linea difensiva azzurra, come hanno fatto vedere i centroamericani contro la Celeste e a quel punto tutto può accadere.

Del resto Prandelli non ha altri moduli se non quello a cui ci ha abituati. Cambiare in corsa non è il caso. Ma se le cose dovessero mettersi male fin da subito, non abbia timore a lanciare nella mischia Immobile, Insigne e Verratti. Attendere l’ultimo quarto d’ora per i cambi necessari potrebbe essere fatale.

Le nostre sono preoccupazioni ovvie. Pessimismo preventivo, insomma. Nonostante il caldo, Recife non dovrebbe esserci ostile. Se a qualcosa può servire, ricordino i nostri giocatori che sono gli eredi di una nazionale che per quattro volte ha vinto il Mondiale. E la prima fu giusto ottant’anni fa. Dovrebbe portare bene l’anniversario. O no?


CONDIVIDI SU:

Gallerie fotografiche correlate

×

Iscriviti alla newsletter