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Come tornare a rendere democratica l’Europa

Grazie all’autorizzazione del gruppo Class editori pubblichiamo l’analisi di Gianfranco Morra apparsa su Italia Oggi, il quotidiano diretto da Pierluigi Magnaschi.

Juncker, Schutz, Mogherini? Benissimo, tutte le 28 nazioni debbono avere qualcosa. Lo staff sarà presto completato. Ma la cosa più importante è un’altra: che cos’è l’Europa? una «piccola penisola dell’Asia» (Nietzsche) oppure un continente con «cultura e moralità proprie» (Chabod)? V’è un fatto indubbio che l’Europa (nome greco) è nata sul Mediterraneo, figlia di tre madri: Atene ha scoperto la filosofia e la libertà contro il dispotismo asiatico; Roma ha inventato un diritto anteriore e superiore alla legge scritta, e lo ha tradotto nella organizzazione dello Stato; Gerusalemme ha proclamato la dignità di ogni essere umano in riferimento al Dio creatore e salvatore.

LA CIVILTA’ CRISTIANA

Tanto che per più di un millennio non si disse «civiltà europea«, ma «civiltà cristiana» (nei princìpi e nei valori, anche se, ovviamente, la condotta degli uomini spesso era diversa). E l’educazione europea, dalle scuole medievali ai collegia dei gesuiti e di Melantone, dalla università di Humbolt al liceo classico, custodiva e tramandava una sintesi di quelle tre tradizioni.

IL PARADOSSO

L’Europa è a tal punto piena di cristianesimo, che anche chi non lo professa «non può non dirsi cristiano» (Croce). Ma oggi? Per singolare paradosso l’Unione Europea venne fondata da tre politici cattolici (Adenauer, Schuman, De Gasperi), ma, lungo la strada, i valori cristiani sono stati dimenticati e anche cancellati: nel Preambolo della Costituzione europea vi manca ogni riferimento. Una mancanza comprensibile, dato che la tradizione, alla quale si ispirano da tempo i padroni dell’Europa, è quella dell’ illuminismo: il «Cubo» della Défence ha oscurato la «Cattedrale» di Notre Dame (Weigel).

LE TRADIZIONI

Come è chiaro nelle finalità perseguite dall’Unione, che troppo spesso sono astratte e utopiche. Ciò di cui quasi non si tiene conto è la tradizione delle diverse nazioni, tutte gettate nello shaker della razionalità strumentale, quella che con la «dialettica dell’illuminismo» (Horkheimer-Adorno) ha cancellato la razionalità sostanziale: in tal modo non è nata l’Europa delle patrie e dei popoli (), ma degli economisti e dei burocrati.

LA MENTALITA’ DEL NEOILLUMINISMO

Solo la mentalità antistorica del neoilluminismo poteva pensare di uniformare per decreto nazioni abissalmente diverse e imporre le stesse leggi e obblighi a tutte. Quando invece la sua tradizione è fortemente pluralistica. Ma senza riferimento alla tradizione nessun progetto rivolto al futuro è possibile: «Il vero carattere della storia è di partecipare alla storia stessa. Per definizione l’avvenire non ha figura. La storia gli fornisce i mezzi per essere pensato» (Valéry).

No, cara Europa no, così non va. Da tempo lo avevano mostrato tutti i principali diagnostici delle civiltà: «tramonto» (Spengler), «crisi» (Huizinga), «eclissi» (Eliot), «decadenza» (Aron), «agonia» (Zambrano). Ma che fare? Eliminarla, insieme con l’euro, come chiedono gli estremisti eurofobi? Nella situazione attuale sarebbero più i danni dei vantaggi. Cambiarla, allora, come propongono gli europeisti, che sono ancora una forte maggioranza? Sembra l’unica via, purché sia seguita con decisione e realismo.

L’ESORTAZIONE DI RENZI

Renzi, mentre inizia il semestre italiano, ha detto: «Prima di decidere chi guida, decidiamo dove andiamo». Una giusta proposta, la quale, però, non potrà avere efficacia senza un recupero di quel principio che dovrebbe sostenere l’Unione e reggere tutte le riforme economiche e politiche. Heidegger non ebbe dubbi nella famosa intervista Ormai solo un Dio ci può salvare (1976): «Occorre riappropriarsi della tradizione cristiana europea». Altrimenti (aggiunse papa Ratzinger) «si seccherà, come un albero senza radici».

L’EUROPA CRISTIANA

Lo aveva capito a fondo Montesquieu. Noi non siano l’Islam (Lettere persiane, 1721), che produce solo regimi dispotici. L’Europa è diversa perché cristiana (che significa religiosa e perciò laica, né clericale né laicista). L’inventore della divisione dei poteri, cioè della democrazia statuale, non ha dubbi: la libertà non deriva dalle riforme politiche, ma dal costume cristiano dei popoli europei, che è «temperato e moderato» (Spirito delle leggi, 1748; 19, 18; 24, 3).

Dopo la democrazia degli antichi, nata in Grecia, quella dei moderni è nata in Europa (Constant). Dove il principio della sussidiarietà, radicato nel diritto naturale, dovrebbe permeare in primo luogo l’Unione: più rispetto per i caratteri nazionali, meno centralismo e uniformità astratta.

SUSSIDIARIETA’

Già, «sussidiarietà», una parola nata con la Rerum novarum (1891) di Leone XIII e approfondita da Pio XI nella Quadragesimo anno (1931): «Non è lecito togliere agli individui ciò che essi possono compiere con la forza e l’industria propria, è ingiusto rimettere ad una maggiore e più alta società quello che dalle minori e inferiori comunità si può fare» (80). Vale per i singoli cittadini e le istituzioni civili rispetto allo Stato, deve valere anche per le nazioni che fanno parte dell’Unione Europea. La quale, nei suoi documenti, di sussidiarietà parla a lungo, ma quasi sempre agisce come se non ci fosse.


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