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Vi spiego la strategia di Renzi in Europa

Negli indirizzi di uno Stato la politica estera ha sempre un ruolo da regina. Questo è ancora più vero per una nazione la cui carta costituzionale nella sua parte ordinamentale è diventata un ferro vecchio dopo la fine della Guerra fredda che era il contesto che la sosteneva.

In uno Stato già dalle basi ristrette (anche la pur democraticissima Prima Repubblica era troppo mediata da partiti che allontanavano i cittadini da un rapporto diretto con le istituzioni) con élite chiuse, corpi separati troppo potenti e sistemi di influenza straniera preponderanti, la crisi della Costituzione è diventata la base per un governo dall’alto e dall’estero che rende la politica estera (subita più che gestita) il fattore decisivo della vita nazionale. E in questo senso saranno definiti anche i prossimi sviluppi della nostra comunità.

A quel furetto di Matteo Renzi, che appare sempre più un vero “fiorentino” secondo  la tipologia definita da una lunga tradizione che va da una lettura denigratoria di Machiavelli, ai vari papi e alle varie regine Medici fino allo shakespeariano Iago, non è sfuggito questo contesto e manovrando tra la sua sponda angloamericana e il Pse (a cui ha prontamente aderito scaricandosi dalle stupidaggini margheritine) sotto controllo tedesco si è creato uno spazio nuovo, come al solito fatto di tradimenti (innanzi tutto verso un David Cameron peraltro impacciato) di furbate, più attento all’immagine (peraltro fattore decisivo in guerre perlopiù mediatiche) che alle scelte strategiche.

Non credo avesse altra possibilità dopo i governi-maggiordomo dei vari Monti e Lettini e se si farà il mercato unico transatlantico avrà piazzato l’Italia in una preziosa posizione di mediazione. In questo caso quel destino messicano di cui alcuni commentatori stanno iniziando a parlare (un partito renziano “rivoluzionario istituzionale” che copra la sostanza del dibattito politico quasi democristianamente occupando lo stato, magari con un supportino decisivo dell’Fbi) potrebbe divenire irresistibile. Naturalmente non è questo l’unico destino possibile in uno scenario internazionale definito da un’affannata amministrazione Obama e dal bottegaismo di fondo di Angela Merkel: siamo in una fase in cui se non si riesce a costruire una maggiore integrazione globale, le trincee più arretrate (ristrutturare in modo confederale l’eurozona, o procedere in un’ulteriore fase federalista) diventeranno complicati terreni di scontro politico con personalità decisive come i Nigel Farage e le Marine Le Pen.

E’ in questo secondo non improbabile scenario che un centrodestra italiano diventa particolarmente utile e urgente, di fatto la condizione per esercitare una qualche sovranità nazionale: non certo all’inglese o alla tedesca ma almeno quasi quanto gli spagnoli o i polacchi.

(Domani la seconda puntata dell’analisi di Lodovico Festa)

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