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Vi svelo le fattibili mire europee di Renzi. Parla l’ambasciatore Lenzi

L’Europa a immagine renziana potrebbe partire provando a rifondare uno degli storici punti deboli di Bruxelles: l’assenza di una politica estera comune. Per farlo il presidente del Consiglio potrebbe rivendicare per la Penisola la poltrona di Alto rappresentante per la Politica estera e di sicurezza dell’Ue, un ruolo strategico per costruire una visione condivisa.

Ma l’Italia può davvero “cambiare verso” a un’Europa ancora divisa tra personalismi e interessi particolari? E quale nome, tra quelli emersi in queste ore, ricoprirà il delicato incarico? Ecco l’opinione dell’ambasciatore Guido Lenzi, già direttore dell’Istituto Europeo di Studi di Sicurezza a Parigi e Rappresentante Permanente presso l’Osce a Vienna.

Ambasciatore, cosa aspettarsi dall’Italia in questo semestre europeo?
Il discorso programmatico di Matteo Renzi, ieri in Parlamento, ci dà soprattutto l’indicazione che la Presidenza italiana si atterrà a quel convinto europeismo che da sempre innerva il nostro Paese. Il primo ministro lo ha coraggiosamente ribadito durante la campagna elettorale, durante la quale molti altri si sono tenuti sulla difensiva. Affermando le ragioni dell’Europa – sì a meno austerity purché in cambio delle riforme necessarie – e sottolineando la necessità di un Vecchio Continente più forte e coeso anche dal punto di vista politico. La presidenza italiana sarà comunque chiamata a svolgere un ruolo determinante, perché si svolgerà durante il vuoto istituzionale dovuto ai tempi necessari per l’insediamento dei nuovi massimi vertici dell’Unione.

Ce la farà il presidente del Consiglio a cambiare marcia all’Europa a trazione tedesca?
La Germania dovrà comunque misurarsi con l’esigenza di dotare l’Europa di una maggiore visibilità e credibilità anche in materia di politica estera e di sicurezza. L’Unione europea non sarà mai una potenza militare della caratura degli Usa o della Russia: le sue caratteristiche sono diverse. In materia di politica estera e di sicurezza, a differenza del campo economico e finanziario, i meccanismi di un’Europa a Ventotto rimarranno intergovernativi, a trazione anteriore, ad opera di quelle capitali che dispongono di più rilevanti tradizioni, strutture, bilanci militari e collocazione nelle organizzazioni internazionali: Francia e Regno Unito per intenderci, ai quali dovranno ora affiancarsi Germania, Polonia e Italia. Dovranno proiettare la propria influenza politica e sociale, che deve costituire un elemento attrattivo. Dovrà gestire i singoli dossier come Libia o Ucraina in modo diverso di volta in volta, ma con una visione comune. Da interlocutore economico, l’Europa deve decidersi a diventare anche protagonista politico, senza snaturare le proprie specifiche caratteristiche.

Un’Europa così costruita non rischia di rimanere subalterna agli Usa?
Non subalterna, affiancata: lo suggeriscono le stesse nuove esigenze internazionali. Perché l’Occidente possa continuare a far valere le proprie ragioni, la potenza americana e il soft power europeo possono utilmente completarsi a vicenda: Marte e Venere andavano d’amore e d’accordo. La stessa situazione internazionale, ben più complessa che in passato, ha ripetutamente dimostrato l’utilità di interventi che alle sanzioni militari associno gli incentivi politici ed economici: la carota e il bastone. Nell’interessa della stabilità internazionale, più che mai, Washington e Bruxelles possono, anzi devono dimostrarsi complementari.

Che ne pensa della possibilità che la titolare della Farnesina prenda il posto di Alto rappresentante per la Politica estera e di sicurezza dell’Ue?
Credo che alla scarsa visibilità politica dell’Europa si debba urgentemente rimediare mediante la nomina di una personalità riconoscibile, già sperimentata e autorevole sulla scena internazionale. Il Ministro Mogherini, persona che conosco ed apprezzo, non ha ancora acquisito, direi, le caratteristiche essenziali all’incarico. All’inizio del suo incarico, non ne disponeva nemmeno Lady Ashton. A differenza del suo predecessore Javier Solana, che era stato Segretario Generale della NATO. E che si avvalse della sua riconosciuta autorità personale per stilare, nel 2003, una Strategia di Sicurezza Europea che da oltre un decennio attende di essere aggiornata e diffusa.

Quello del ministro Mogherini non è però l’unico nome in campo. In Italia c’è una personalità che ritiene all’altezza di ricoprire quel ruolo?
Scindiamo due aspetti. L’Italia come nazione ha tutte le carte in regola per contribuire in modo determinante a un dibattito che tracci le linee guida di quella che dovrebbe essere la politica estera dell’Unione. Abbiamo partecipato a tutte le operazioni di peacekeeping nei più diversi teatri operativi, non lesinando mai il nostro impegno. Abbiamo ottimi interpreti delle esigenze politiche europee, ma scarseggiamo di personalità con le caratteristiche che ho indicato. Per troppo tempo ci siamo concentrati sulla politica interna, fidando nella protezione di un ambito europeo ed atlantico che non esiste più. A ciò si aggiunga l’ostacolo linguistico che impedisce a molti nostri esponenti politici, non dico di parlare, ma di interloquire efficacemente in inglese. Ma sono tutti discorsi teorici. Siamo certi che l’ipotesi di un Alto rappresentante italiano possa essere davvero sul tavolo, quando Roma dispone già di Mario Draghi alla guida della Bce?



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